Mauro Covacich: «Mi dedico alla corsa e libero il pensiero»

Venerdì 14 Maggio 2021 di Mary Barbara Tolusso
Lo scrittore Mauro Covacich durante una gara

TRIESTE - Che cos'è veramente la corsa? Agli occhi dei più pare una semplice attività fisica, nella maggior parte dei casi praticata per dimagrire. Mauro Covacich, triestino, ritorna sul tema con Sulla corsa (La nave di Teseo, pag. 160, euro 15), un vero e proprio vademecum per entrare in quella che di fatto è una vertigine introspettiva.

Un libro che rientra nel cosiddetto Ciclo delle stelle, iniziato nel 2003 e che ha attraversato varie forme, anche performatiche, insomma pagine scritte con il corpo. Già finalista al Premio Strega nel 2014, Covacich è autore particolarissimo, la cui poetica respinge ogni consolazione per indagare il rapporto vita-arte, realtà-finzione. Nelle prime pagine scrive: «Ecco a cosa bisogna resistere, all'istinto di fuga. Sto chiaramente fuggendo».


La corsa è una fuga?
«Si corre per sciacquarsi i pensieri, si corre per scaricare le tossine della giornata, ma si corre anche per scappare dal fantasma della propria vita. Si corre perché si è in guerra e si vorrebbe tanto essere in pace. Il principiante fugge soprattutto dalla sofferenza (spesso lo si riconosce dagli occhi sbarrati), ma poi impara ad accoglierla, impara appunto a resistere».


In diversi autori c'è questa esperienza dello spiccare il volo, da Del Giudice a Cappello. Anche lei ha cercato di descrivere questo tipo di euforia?
«La corsa si differenzia dalla marcia proprio questa particolarità del volo, a ogni passo c'è un momento, seppur breve, in cui entrambi i piedi non toccano terra. Un momento ripetuto fino al punto da dimenticarsene, ma infonde comunque, a nostra insaputa, uno stato di ebbrezza vagamente infantile, soprattutto quando si è in buona forma».


Lei ha praticato vari tipi di corsa, in diversi contesti e con diverse ambizioni fino a farla diventare metaletteraria con i romanzi del Ciclo delle stelle dove corsa e scrittura divengono un continuo rischio. Qual è la sfida?

«Nel 2008 il progetto del ciclo si era arenato intorno alla questione della verità. Quando sono me stesso e quando recito la parte di me stesso? Ero risucchiato nel gorgo di questa domanda. Così ho pensato che una via d'uscita potesse essere scrivere con il corpo, ovvero realizzare una performance della quale correvo la maratona sul tapis roulant indossando i panni del personaggio al centro dei primi tre romanzi. La sfida è sempre la stessa, produrre una forma, un testo, un gesto, che mi si possa ritorcere contro».


Sulla corsa coinvolge il lettore nel contrasto tra i calcoli del corpo e quelli della mente. Cosa la seduce dell'intelligenza del corpo?
«Il corpo è la nostra unica certezza di esseri fragili e pieni di voglie. Come se non bastasse, il corpo non sa mentire. In certe situazioni, come nella maratona, la mente e il corpo diventano la stessa cosa, la mente è il sistema del corpo che pensa».


Nel suo libro corrono tanti personaggi, reali, letterari, tra tutti spicca Andrea, uomo sovrappeso, in apparenza inadeguato allo sport, ma in breve esprime il cosiddetto talento. Non trova inquietante il sistema-corpo che spesso non corrisponde a una logica?
«Eh ma proprio questo è il bello, il modo in cui pensa il corpo è illogico, irrazionale».


Parla anche di tanti campioni sportivi. Chi ha amato di più?
«Ho avuto la fortuna di incontrare in situazioni occasionali due grandi maratoneti italiani: Orlando Pizzolato, vincitore di due maratone di New York, e Stefano Baldini, oro olimpico ad Atene. Ma il mio idolo resta Haile Gebrsilassie per il quale sono andato in pellegrinaggio ad Addis Abeba».


Per questioni di salute lei ha smesso di correre a livello agonistico. Scrive che oggi corricchia, ma correre davvero è quasi una droga. È difficile liberarsi di questa dipendenza?
«Nel libro li chiamo i corricchianti, quelli che si vedono al parco magari la domenica mattina, una volta li guardavo con la puzza sotto il naso, ora è la comunità a cui appartengo. Potrei dire che quel piccolo malanno in realtà mi ha guarito, sono uscito dal tunnel, i sei allenamenti settimanali mi sembrano il ricordo di un'altra vita. E sa una cosa, in fondo non è niente male neanche così».
 

Ultimo aggiornamento: 17:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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