Massimo Fini: «Sto perdendo la vista per un glaucoma e mi sfogo a scrivere»

Mercoledì 8 Marzo 2023 di Vittorio Pierobon
Massimo Fini

Il buio totale si sta avvicinando e lui non ha paura di raccontarlo e di affrontarlo. Massimo Fini, come ha sempre detto pubblicamente, sta perdendo la vista. Siamo alle ombre. Ipovedente. "Cieco" dice lui senza tanti giri di parole. È così che ha intitolato l'ultimo suo libro (Marsilio editore) nel quale descrive, con la consueta prosa graffiante e dissacrante, la parabola discendente del suo apparato visivo, iniziata una ventina d'anni fa con la scoperta di un glaucoma.
Una malattia che gli ha cambiato lo stile di vita. Ma in realtà, la vista, come racconta nel libro, è sempre stata un problema che lo ha accompagnato fin da ragazzo. Ne parla senza imbarazzi, con un velo di ironia.
Sta perdendo la vista, ma non la verve e lo spirito libero. Massimo Fini, questo è il suo ultimo libro?
«In genere, quando esce un mio libro, lo considero sempre l'ultimo.

Ma questo è davvero il mio de profundis».


Anche nel 2015 aveva annunciato il ritiro, a causa della perdita progressiva della vista. Non scrivo più aveva detto.
«È vero. All'epoca scrivevo per il Gazzettino e Il Fatto quotidiano. È stato Marco Travaglio, che ha messo in moto una catena di amici (da Manoni a Arbore), a convincermi a continuare».


Però non con Il Gazzettino.
«Mi è spiaciuto moltissimo. Ma non potevo reggere la collaborazione con due giornali. La perdita della vista allunga molto i tempi di lettura e scrittura. Con il vostro giornale ho sempre avuto un rapporto splendido. Nessun problema con i direttori, prima Bacialli e poi Papetti, nonostante i miei scritti non fossero sempre allineati. E poi voi fate titoli migliori del Fatto».


Cosa rappresenta per lei scrivere?
«Scrivere per me è uno sfogo. Continuo a sorprendermi per il fatto che mi paghino per scrivere cose che, comunque, direi ugualmente al bar».


Nei suoi libri ha rivalutato sotto una luce diversa, personaggi "maledetti" o molto controversi. Dal Mullah Omar a Catilina, da Nerone a Nietzsche.
«Sono affascinato da questi personaggi. La nostra società che divide tutto in bianco e nero ce li ha presentati solo come negativi. Non è così. Prendiamo il Mullah Omar. Era un personaggio integerrimo, un uomo che ha lottato per la libertà del suo popolo, per difendere l'Afghanistan dall'invasione russa. Certo è stato anche il capo dei talebani».


Peccato che non scriva più, perché un suo ritratto di Putin sarebbe interessante.
«Mi ha dato un'idea. Andrebbe fatto subito. Io poi sono russo di madre e conosco bene quella realtà. Tutti si augurano che Putin venga scalzato, ma pochi sanno chi arriverebbe al suo posto. Sicuramente gente peggio di lui. E non è vero che il popolo non lo vuole. Lui ha il sostegno della Russia contadina, che rappresenta il 45% della popolazione. Vedono in lui il leader che ha ridato la dignità persa con Gorbaciov, appiattito sull'America. Ma per scrivere il libro, dovrei incontrare Putin. E non credo che oggi sia facile».


Torniamo all'Italia. Conte, Speranza e tutta la task force anti Covid è sotto inchiesta. Possibile che in Italia si finisca sempre per essere indagati?
«È la teoria di Davigo: non ci sono innocenti, ma colpevoli non ancora scoperti. Obiettivamente bisogna dire che il governo Conte, con la pandemia, si è trovato a gestire una situazione tremenda di cui nessuno aveva idea delle dimensioni e tanto meno conosceva gli antidoti. Inoltre, ricordiamoci, che le misure messe in atto dall'Italia, dopo sono state adottate anche da molti altri Paesi. Per esperienza personale io ho fiducia nella magistratura. In due importanti processi a mio carico sono stato assolto perché il fatto non sussiste. E il giudice era una donna».


Le donne avanzano nei ruoli chiave in Italia.
«Benissimo. Però non parlatemi di quote rosa. Quello che conta è il merito non il sesso».


Giorgia Meloni ed Elly Schlein, in questo momenti sono i due leader politici più importanti. Se lei dovesse andare a cena con una di loro, chi sceglierebbe?
«Giorgia Meloni, perché mi piacciono la sua freschezza, la franchezza, la passione politica. Anche se non condivido quasi nulla delle sue idee europeiste e atlantiste. O sei europeo o sei suddito americano».


E di Elly Schlein, anche senza invitarla a cena, cosa pensa?
«Assieme a Giorgia è l'unico politico con le palle. Mi sembra sia schietta e determinata nel suo scopo. Ma è presto per giudicare».


Cosa pensa del politicamente corretto?
«È una grande ipocrisia. Bisogna dire le cose come stanno senza remore e tanti giri di parole. Io sono cieco, cosa serve dire non vedente. Andando avanti così, per parlare di un morto si scriverà diversamente vivo».


Anche l'informazione si adegua al politicamente corretto?
«In questo senso i giornali non fanno un buon lavoro. Si adeguano. Io comunque faccio il contrario. Ricordo che una volta Giorgio Bocca (assieme a Walter Tobagi il mio miglior amico nel mondo del giornalismo) mi telefonò alle sei del mattino infuriato per una frase che gli avevo attribuito in un mio articolo. Io replicai che avevo riportato esattamente le sue parole. Lui mi diede una lezione: "Se alla tua età non hai ancora capito che non sempre si può dire la verità, sei un cretino". Una lezione che non ho ancora imparato».


Torniamo al libro, che sembra un saluto ai suoi lettori. Speriamo che avvenga il più tardi possibile, ma lei ha paura della morte?
«Certamente. Tutto ciò che hai vissuto sparisce nel nulla. Ma ancor di più ho paura delle malattie. Tutti i mali che vengono dal corpo mi terrorizzano. Basta avere 37.2 per temere chissà quale malattia».


Lo ha detto è scritto, lei non è credente. Ma nel suo intimo si augura di sbagliare?
«Sono d'accordo con Baudelaire: l'unica scusante per Dio è di non esistere. Altrimenti non si potrebbe giustificare tutto il male che c'è nel mondo. Comunque rispetto le religioni e chi crede. La fede è sicuramente un grande aiuto a lenire le sofferenze. Ma se mi sbagliassi e incontrassi Dio, credo che avrei molte cose da contestargli».

 

Ultimo aggiornamento: 09:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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