L'albero secolare e segreto delle Dolomiti: è il pino-garitta, l'ultima conifera camuffata della Grande Guerra Foto

Mercoledì 23 Novembre 2022 di Angela Pederiva
L'albero secolare e segreto delle Dolomiti: è il pino-garitta, l'ultima conifera camuffata della Grande Guerra
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Probabilmente era l'unico sul fronte orientale, sicuramente è l'ultimo visibile ancora oggi. L'albero-garitta delle Dolomiti non è solo un maestoso esemplare di conifera ultrasecolare: è anche una suggestiva testimonianza della Grande Guerra.

In quell'estenuante scontro di trincea che fu il primo conflitto mondiale, l'esercito italiano spiava infatti i movimenti del nemico austroungarico dalla torretta ricavata (e mimetizzata) all'interno di un pino cembro, straordinario modello di camuffamento militare tuttora vivente alle porte di Cortina d'Ampezzo.


Il segreto delle Dolomiti


L'esatta localizzazione della pianta di vedetta è un segreto che i residenti nella Conca cercano di custodire al meglio. «Temiamo i vandalismi», spiega Loris Lancedelli, direttore del Museo della Grande Guerra al Forte Tre Sassi, meta ogni anno di 10.000 visitatori con un'esposizione di oltre 2.000 cimeli storici. «Fortunatamente non è per niente facile trovare questo albero precisa l'esperto anche se ogni tanto qualche escursionista, percorrendo i sentieri, riesce a raggiungerlo comunque». E a fotografarlo per divulgarne la bellezza sui social, com'è successo di recente sulla pagina Facebook del libro Il soldato dimenticato di Claudio Restelli, dove le immagini hanno catalizzato più di 2.200 mi piace in poche ore. A grandi linee, il pino camuffato si trova nella zona degli Orte de Tofane, vicino a Col Rosà: un punto strategico di osservazione per tenere sotto controllo il Valon de Ra Ola e la Val Travenanzes.


La guerra, l'albero e i soldati


Per contestualizzare l'importanza di questa presenza, tanto discreta quanto misteriosa, bisogna ritornare alla parte centrale del 15-18. Il 23 maggio 1915 il Regno d'Italia dichiarò guerra all'Impero Austro-Ungarico. Sei giorni dopo, le truppe italiane occupavano la Conca, interrompendo quattro secoli di dominio asburgico, i cui soldati si ritirarono sul Lagazuoi e sul Sasso di Stria per difendere l'accesso alla Val Badia e alla Pusteria. Le trincee dei due eserciti contrapposti si snodarono così lungo i crinali dolomitici, in una snervante guerra di posizione che assegnava un ruolo determinante al monitoraggio delle linee nemiche. Fra l'8 e il 10 luglio 1916, gli italiani conquistarono alcuni luoghi-simbolo delle Tofane, come il Sasso Cubico sul Masarè, le Tre Dita e cima Nemesis. I mesi successivi trascorsero tra rotolamenti di valanghe ed esplosioni di mine, fino alla ritirata di Caporetto del 24 ottobre 1917. «A quel punto gli alpini, i fanti e gli artiglieri cominciarono a defluire, tanto che fra il 4 e il 5 novembre venne definitivamente sgomberata Cortina», sintetizza Lancedelli, ricordando il trionfante ingresso in Ampezzo degli austroungarici.

La ricostruzione degli eventi bellici consente di avanzare un'ipotesi sulla data del travestimento botanico. «Purtroppo riflette il direttore del Museo non è disponibile alcuna documentazione in proposito. Per esempio, se fosse rimasto il diario di qualche soldato, sarebbe stato meraviglioso... Ad ogni modo possiamo immaginare che l'albero sia stato trasformato in garitta verso la metà del 1916 e sia stato utilizzato fino all'estate del 1917. In sostanza era un avamposto, in cui le sentinelle si alternavano nel tenere d'occhio le aree circostanti. In inverno a causa del gelo i turni duravano solo un'ora, mentre con la bella stagione erano più lunghi. Il militare di vedetta era naturalmente armato, ma soprattutto dotato di binocolo: in caso di avvistamento, scattava l'allertamento della compagnia, formata da 200 o anche 250 uomini, pronti a intervenire».


Ma perché era necessario nascondersi dentro una conifera? La motivazione era, per così dire, tattico-logistica: spesso le opposte linee erano talmente ravvicinate da rendere impossibile, in condizione di sicurezza, l'osservazione diretta del nemico. Per questo era utile il camuffamento arboreo, particolarmente utilizzato sul fronte occidentale, dove venivano usati finti fusti. Maestri del camouflage erano, non a caso, i militari francesi, i quali si avvalevano della collaborazione di pittori, scultori e scenografi, chiamati a riprodurre sulla carta la posizione e la conformazione dell'albero situato nel luogo prescelto, in modo da poter costruire una copia il più possibile fedele all'originale. Il doppione era costituito da un'anima d'acciaio, opportunamente mascherata grazie all'intervento degli artisti. La sostituzione della vera pianta con quella artefatta avveniva di notte: l'una veniva abbattuta in una fossa, da cui veniva rapidamente issata l'altra, in modo da non ingenerare sospetti nel fronte avversario. Una tecnica a suo modo ripresa da Charlie Chaplin nel film Charlot soldato del 1918, quando si traveste da albero per spingersi tra le file nemiche a carpirne i segreti militari, finché però viene smascherato ed è costretto alla fuga.

Del resto il camuffamento militare è un'arte antica ma sempre attuale, capace di attraversare i secoli adeguandosi allo spirito (anche bellico) dei tempi. Dalle navi inviate da Giulio Cesare alla conquista della Gallia, verniciate in blu veneziano per mimetizzarsi nell'acqua, alla tessitura delle reti e uniformi mimetiche per i soldati dell'Ucraina, attraverso le strisce grigioverdi annodate dalle donne e dai bambini, la storia trabocca di espedienti più o meno fortunosi con cui provare ad ingannare chi sta dall'altra parte. Tentativi celebrati dall'Imperial War Museum di Londra con l'esposizione di quello che viene definito «uno degli oggetti più insoliti» della sua sterminata collezione: l'albero mimetico, appunto, «fatto per assomigliare a un salice capitozzato».


Il pino-garitta e la feritoia


Il pino-garitta delle Dolomiti, però, ha una particolarità che lo rende speciale: non è finto, ma vero, tanto da essere ancora vivo. «A quel tempo i soldati avevano esperienza di taglio del legno sottolinea Lancedelli e così con l'accetta hanno scavato il tronco e aperto la feritoia. Parliamo di un cirmolo, cioè di una pianta molto resistente, che oggi potrebbe avere anche più di 150 anni». Testimone silenzioso di un'epoca a cui è sopravvissuto, radicandosi nella memoria della gente di montagna.

Ultimo aggiornamento: 16:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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