I rapporti tra Israele e Vaticano non sono mai stati così tesi.
«Ancora una volta ci ritroviamo nel mezzo di una crisi politica e militare. Siamo stati improvvisamente catapultati in un mare di violenza inaudita. L’odio, che purtroppo già sperimentiamo da troppo tempo, aumenterà ancora di più, e la spirale di violenza che ne consegue e creerà altra distruzione. Tutto sembra parlare di morte» hanno scritto i Patriarchi due giorni fa.
Ieri il Papa al termine della preghiera dell'Angelus aveva rivolto un appello accorato ai capi di Hamas (senza mai pronunciare apertamente quella parola) per la liberazione degli ostaggi e poi, di seguito, aveva fatto riferimento al diritto internazionale e alla protezione dei civili che sono a Gaza. («Si rispetti il diritto umanitario, soprattutto a Gaza, dov’è urgente e necessario garantire corridoi umanitari e soccorrere tutta la popolazione»). Con un linguaggio evidentemente poco esplicito forse anche il Papa non avrebbe messo in evidenza che si tratta di legittima difesa, proprio come aveva fatto, invece, mercoledì scorso («Israele ha tutto il diritto di difendersi»).
La protesta ieri sera è partita dal ministro degli Esteri Eli Cohen che ha fatto una lunga telefonata con il suo omologo vaticano, monsignor Paul Gallagher al quale Cohen avrebbe «chiarito che Israele ha il pieno diritto di difendersi dagli attacchi di Hamas e ha invitato il Vaticano a condannare in modo chiaro e inequivocabile il terrorismo omicida diretto contro i cittadini israeliani».
«Non c'è spazio per paragoni infondati. Hamas, un'organizzazione terroristica peggiore dell'ISIS, si è infiltrata in Israele con l'intento di ferre civili innocenti, mentre Israele è una democrazia che cerca di proteggere i suoi cittadini da Hamas. Ci aspettiamo che la Santa Sede emette una condanna inequivocabile e chiara degli atti terroristici omicidi perpetrati dai terroristi di Hamas che hanno causato gravi danni a bambini, donne e anziani solo perché sono ebrei e israeliani. È inconcepibile che un annuncio che esprime preoccupazione soprattutto per i residenti di Gaza venga emesso nello stesso momento in cui Israele sta seppellendo 1.300 cittadini assassinati e una vasta popolazione vive sotto continui missili e attacchi missilistici. Israele sta combattendo una guerra che gli è stata imposta e continuerà a combattere Hamas fino a quando non costituirà più una minaccia per i cittadini di Israele. Questo viene fatto a beneficio del mondo intero» si legge nella durissima nota del ministero degli esteri israeliano.
La posizione diplomatica del Vaticano in questo frangente storico è difficilissima e piuttosto delicata. Gran parte dei cristiani (cattolici, armeni, copti, ortodossi) sono arabi e molti vivono nei Territori. Già la scorsa settimana si era registrato un analogo incidente provocato da un altro comunicato dei patriarchi della Terra Santa. C'era successivamente stata una rettifica da parte del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca cattolico, ma le cose erano evidentemente destinate a complicarsi ulteriormente con l'offensiva di terra alle porte e l'esodo biblico dei civili da Gaza, impossibilitati a uscire dalla Striscia, anche a causa di Hamas che poteva ostacoli.
Alcuni giorni fa, in una intervista al Messaggero, il rabbino Noam Marans, responsabile delle relazioni inter-religiose dell'American Jewish Congress, aveva criticato il silenzio del Sinodo dei vescovi (in corso in Vaticano) dal quale non sono ancora arrivate prese di posizione pubbliche. «Finora il Sinodo riunito in Vaticano non è riuscito a condannare esplicitamente le disumane atrocità di Hamas e questa è un'occasione mancata per la chiarezza morale». Nelle riunioni sinodali che si tengono quotidianamente nell'Aula Paolo VI si sono levate tante preghiere per la pace nel mondo, si è letto il Vangelo in arabo ma si è evitato di fare menzione al terrorismo di Hamas. Solo un cardinale, quello di Boston, Sean O'Malley, a titolo personale, ha formulato «una condanna in termini umani, morali e legali» specificando che “lo scopo dell'attacco e i suoi metodi barbari sono privi di giustificazione morale o legale” ha detto.
Il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin alcuni giorni fa era andato a fare visita all'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede e al termine aveva rilasciato una intervista ai media vaticani: «Non so che margine di dialogo ci possa essere tra Israele e la milizia di Hamas, ma, se ci fosse e speriamo che ci sia, lo si dovrebbe percorrere subito e senza indugio. Questo per evitare altro spargimento di sangue, come sta avvenendo a Gaza, dove ci sono molte vittime civili innocenti. Il Vaticano è pronto a qualsiasi mediazione necessaria, come sempre...».
Il cardinale aveva definito disumano l’attacco di Hamas e rilanciava l’appello di Papa Francesco per la liberazione degli ostaggi nelle mani dei terroristi. Poi Parolin chiedeva proporzionalità nella legittima difesa di Israele esprimendo preoccupazione per le vittime civili dei bombardamenti su Gaza e ribadiva che bisogna arrivare alla soluzione dei due Stati. «Permetterebbe a Palestinesi ed Israeliani di vivere fianco a fianco, in pace e sicurezza». «È diritto di chi è attaccato difendersi, ma anche la legittima difesa deve rispettare il parametro della proporzionalità».
Sulla disponibilità della diplomazia vaticana a farsi da mediatore è però arrivata la doccia gelata di Israele che attraverso il suo ambasciatore presso il Vaticano ha ringraziato aggiungendo che adesso è il momento per combattere. Alla agenzia tedesca KNA, il diplomatico è stato piuttosto chiaro: «C'è uno scambio su ciò che sta accadendo.Ma non posso dire che ci sia stato un tentativo di giocare un certo ruolo.Anche questo sarebbe prematuro. Purtroppo non è il momento di negoziare. Dobbiamo innanzitutto combattere e vincere questa guerra».