«Finora il Sinodo riunito in Vaticano non è riuscito a condannare esplicitamente le disumane atrocità di Hamas e questa è un'occasione mancata per la chiarezza morale». Le parole del rabbino Noam Marans, responsabile delle relazioni inter-religiose dell'American Jewish Congress, pesano come macigni e fanno riferimento al fatto che non sono ancora arrivate prese di posizione pubbliche e collettive dall'assise che vede oltre 400 delegati da tutto il mondo discutere di come cambiare la Chiesa.
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Rabbino lei avrà ascoltato le parole forti che Papa Francesco ha pronunciato mercoledì scorso all'udienza quando ha detto che Israele ha il diritto di difendersi. Pensa che siano sufficienti?
«Le dichiarazioni del Papa sui conflitti a volte riflettono la riluttanza della Chiesa a scegliere le parti nei conflitti, portando a dichiarazioni che sono appelli generali per la pace. Ma stavolta le parole del Papa all'udienza generale includevano una specificità utile, tra cui offrire conforto alle persone in lutto in Israele, chiedere il rilascio degli ostaggi nelle mani dei terroristi e affermare il diritto di autodifesa di Israele».
Lunedì scorso alla università Gregoriana ad un convegno su Papa Pacelli e al ruolo avuto durante la Seconda Guerra Mondiale è stato evocato il silenzio di Pio XII e, in quella occasione, è stato fatto un paragone sul silenzio attuale di tanti cattolici nei confronti dei terroristi di Hamas: non le è sembrato eccessivo?
«Credo che darebbe prova di una vera leadership morale se tutti i leader cattolici di oggi condannassero specificamente i barbari attacchi terroristici contro Israele e non li minimizzassero attraverso l'opposizione generale alla guerra e alle aspirazioni di pace che abbiamo tutti. Detto questo, però, ritengo che non ci sia paragone tra la Chiesa di allora e il Papa dell'epoca dell'Olocausto e la Chiesa e il Papa di questo momento. Dall'Olocausto in poi, la Chiesa cattolica si è evoluta in un rapporto più positivo con il popolo ebraico».
Qual è la sua analisi sulla posizione specifica della Chiesa cattolica in Israele e in Palestina: da un lato è minacciata dalla radicalizzazione islamica soprattutto nei Territori, e dall'altro dagli estremismi degli ebrei ultra-ortodossi. La situazione certamente è complessa e sfaccettata, ma secondo lei quale è il futuro per la Chiesa nella regione del Medio Oriente?
«Qualunque siano le sfide per la Chiesa in Terra Santa, è chiaro che in Israele, dove la libertà di religione è un principio nazionale fondante, resta il luogo migliore per la fioritura del cristianesimo in Medio Oriente».
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La pace sembra davvero un sogno sulla terra...
«In realtà, c'è pace in gran parte del mondo. E noi dovremmo fare tutto ciò che è in nostro potere per espandere la pace nelle regioni più resistenti e sorde del nostro pianeta».