Diventa beato il rampollo di una nota famiglia di imprenditori lombardi, gli Ambrosoli, quelli del Miele.
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Era nato nel 1923 a Ronago – un paese della provincia di Como, a due passi dalla Svizzera – figlio del fondatore dell’omonima azienda del miele. Nel quarantadue si iscrisse alla facoltà di Medicina e durante gli anni segnati dalla guerra non mancò di spendersi per aiutare a mettersi in salvo i “profughi” (ebrei e partigiani) che sulle montagne comasche cercavano di arrivare in Svizzera. Per evitare problemi alla famiglia fu obbligato a prestare servizio nella Repubblica di Salò, un passaggio complicato della sua esistenza che non ha mai nascosto. Quando di laureò nel 1949 con una specializzazione in malattie tropicali, entrò tra i missionari comboniani per i quali fu ordinato sacerdote dall’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini.
Nel febbraio 1956, così, s’imbarcò per l’Africa dove fu destinato a Kalongo, allora un villaggio sperduto nella savana, nel Nord dell’Uganda. «Al mattino – ha raccontato a Mondo e Missione la nipote Giovanna, oggi alla guida della Fondazione che ne continua l’opera – iniziava a operare prestissimo, poi alle due mangiava un boccone, quindi via all’ambulatorio. Nel tardo pomeriggio la celebrazione della Messa e l’attività pastorale e la sera l’incontro con i medici e poi ancora lo studio fino a tarda notte».
Nel 1987, nel pieno della guerra civile nel Nord Uganda, padre Giuseppe fu costretto per ordine militare a evacuare l’ospedale in sole 24 ore. Appena 44 giorni dopo l’evacuazione dell’ospedale, morì per una crisi renale. La chiesa ha riconosciuto il miracolo avvenuto per sua intercessione: la guarigione di Lucia Lomokol, una donna che il 25 ottobre 2008 stava per morire a 20 anni di setticemia, dopo aver perso il figlio che portava in grembo. All’ospedale era arrivata troppo tardi e allora uno dei medici, vista l’impossibilità ormai di alcuna terapia, le aveva posto sotto il cuscino l’immagine di padre Giuseppe invitando i familiari a invocare il “grande dottore”.