Radiazioni, droni e co., le nuove tecnologie che fanno luce sull'arte

Spettroscopia Raman per rivelare immagini nascoste, mini velivoli con sensori per mappare aree: la tecnologia al servizio delle scoperte e della tutela, dalle Tombe di Tarquinia ai quadri di De Chirico

Mercoledì 20 Marzo 2024 di Valeria Arnaldi
Il progetto Uavimals della Scuola Superiore Sant’Anna con la Sapienza

«Alcune scene con Caronte, altre con animali, ormai invisibili ad occhio nudo, sono state scoperte grazie al ricorso a immagini multispettrali.

Senza la tecnologia, quei tesori sarebbero andati perduti».

Chiara Scioscia Santoro, curatrice con Adele Cecchini del volume Scienza e tecnologia per le tombe dipinte di Tarquinia, nella collana Larth dell’Associazione Amici delle Tombe dipinte di Tarquinia (edizioni ETS), non ha dubbi quando parla del valore e più ancora del potenziale della tecnologia in materia di studio, indagine, conservazione dei beni archeologici. È questione di velocità ed efficienza. A volte, di vere e proprie scoperte. «Nella Tomba dei demoni e in quella che le è accanto, grazie alla spettroscopia Raman, è stato possibile leggere scene, che altrimenti sarebbero andate perse. Così sono nati studi ad hoc. Le immagini multispettrali aiutano anche nei restauri. Se prima l’archeologo e il restauratore lavoravano soli, oggi confrontandosi anche con geologo ed esperti di imaging, possono ampliare il campo di azione, perfino rivedendo gli esiti di taluni studi del passato». Per le Tombe di Tarquinia, la tecnologia è stata messa al servizio di manutenzione e tutela.

MICROCLIMA

«L’impiego di droni – prosegue – ha permesso di rilevare che i tumuli sopra le tombe, costruiti a fine protettivo, si sono spostati nel tempo, disallineandosi. Dato che queste “coperture” non sono più centrate, sono mutati i parametri microclimatici, con i problemi che ciò può comportare, dagli accumuli di acque meteoriche fino a microlesioni nelle camere ipogee. Comprendere le modalità di tali movimenti consente di intervenire al meglio». La tecnologia sta cambiando il mondo di archeologia e arte, non solo per quanto riguarda la fruizione di siti, mostre e musei, ma proprio per studio, conservazione, restauro, tutela. Gli strumenti sono molti. La Scuola Superiore Sant’Anna, con la Sapienza, ha recentemente concluso la ricerca Uavimals per la realizzazione di un prototipo aereo laser scanner per indagini di archeologia leggera. In generale, i droni vengono usati per visionare ampie aree dall’alto, scattare foto e consentire, studiando la crescita della vegetazione, di rintracciare antiche strutture interrate. Sensori di temperatura, pressione e umidità arricchiscono l’analisi. Senza dimenticare l’uso dell’intelligenza artificiale per verificare la presenza di possibili crepe o danni – o aree dipinte, appunto - e per fare analisi sulle tecniche di restauro. 

I CONTROLLI 

«La tecnologia è utilissima per i controlli non distruttivi – commenta Roberto Civetta, restauratore e conservatore di beni culturali – mi sono occupato del restauro di più monumenti di Roma antica e ho fatto spesso ricorso a strumenti tecnologici. Attraverso il georadar è possibile vedere all’interno dei marmi e verificare la presenza di cavità e fratture o l’esistenza di elementi diversi come ferri e bronzi. Ciò evita che, intervenendo, si possano effettuare danni». Non solo. «Attualmente, vengono effettuate indagini satellitari per il monitoraggio dei monumenti e della loro salute. La tecnologia, inoltre, interessa lo studio su materiali usati nei restauri per unire impatto minimo e maggiore durabilità». È così per l’archeologia, ma anche per l’arte. Artemisia è il nome del progetto di indagini diagnostiche con uso di algoritmi di Intelligenza artificiale impiegato su opere del museo Carlo Bilotti, a Roma e, in particolare su Mobili nella stanza di Giorgio de Chirico, eseguita nel 1927. 
Vincitore dell’Avviso Pubblico di Lazio Innova, il progetto – capofila, l’istituto nazionale di Fisica nucleare, con Sapienza, Icr, X-Team Software Solutions, Vianet e Sovrintendenza Capitolina - è stato concepito per l’identificazione in-situ dei materiali pittorici tramite una tecnologia all’avanguardia che prevede fusione dei dati spettroscopici e implementazione di algoritmi di IA per generare immagini multilivello. Nella pratica, ciò significa poter diagnosticare in breve tempo e con precisione eventuali criticità nello stato del bene, ma anche valutare l’attribuzione di un’opera, individuare i falsi d’autore. E “leggendo” i dipinti, al di là dell’immagine, nuovi elementi si aggiungono a quelli noti, portando in primo piano pentimenti, revisioni, sperimentazioni di colore e tanto ancora. L’uso di imaging iperspettrale e macro-scanner FT-IR sul lavoro di De Chirico, come spiega Federica Pirani, direttrice della Direzione Patrimonio artistico delle ville storiche della Sovrintendenza Capitolina, «ha evidenziato che il legante utilizzato dal pittore è stato l’olio. Per quanto riguarda i pigmenti, poi, è stata identificata la presenza di bianco di zinco, di blu di cobalto, e delle terre per le tonalità calde. Infine per l’identificazione di prodotti di degrado, è stata notata la presenza di carbossilati, prodotti di alterazione che si formano naturalmente dall’interazione dello zinco con l’olio».

Indagini al museo Carlo Bilotti di Roma


LE RICOSTRUZIONI 

Da indagine e conservazione a valorizzazione ed esposizione. Ai Musei Capitolini, nel giardino di Villa Caffarelli, grazie alla collaborazione tra Sovrintendenza Capitolina, Fondazione Prada e Factum Foundation for Digital Technology in Preservation con supervisione scientifica di Claudio Parisi Presicce, si può ammirare la ricostruzione 1:1 del Colosso di Costantino. I pochi frammenti monumentali in marmo giunti fino a noi sono stati modellati in 3D ad altissima risoluzione e posizionati sul corpo digitale della statua, alta tredici metri, creata usando come esempio statue di età imperiale. Obiettivo, consentire la percezione dell’opera nello spazio, dunque l’osservazione di Roma com’era. 
Muta anche l’illuminazione nelle mostre. «Ho realizzato due brevetti con il Politecnico di Milano per quella che si chiama illuminazione intelligente – dice l’architetto Francesco Murano, che ha firmato l’illuminazione di oltre duecento esposizioni – si tratta di tecnologia di image detection. I dispositivi individuano i quadri, li mappano sulla parete e li illuminano, senza bisogno di operatori, assicurando la perfetta analisi di grandezza, colore e distanza, quindi il giusto flusso luminoso su ogni opera». Una questione di valorizzazione e, di nuovo, tutela. Soprattutto, di “visione”, nelle molteplici accezioni del termine. «Ogni tecnologia sufficientemente avanzata – diceva Arthur C. Clarke - è indistinguibile dalla magia». E, forse, si fa arte.

Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 07:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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