Rublev: «Odio perdere, ma sono troppo emotivo. Vorrei essere come Nadal e fare il chitarrista»

Il tennista russo ha appena perso in due set contro Carlos Alcaraz alle Finals di Torino

Mercoledì 15 Novembre 2023 di Vincenzo Martucci
Rublev: «Odio perdere, ma sono troppo emotivo. Vorrei essere come Nadal e fare il chitarrista»

Il più simpatico, il più empatico, il più passionale, il più genuino, il più divertente, il più buono e anche il più irascibile, il più emotivo, fors’anche il più apprezzato perché più vicino alla gente, più umano.

Tanto da essere l’unico atleta russo ad aver azzerato il sentimento avverso da parte del resto del mondo: per quanto si è subito schierato apertamente contro la guerra, ogni forma di guerra, e in special modo l’invasione dell’Ucraina, scrivendolo sulla telecamera in campo il 25 febbraio a Dubai.

Questo è Andrey Rublev, un uomo, prima che un tennista, che conosce solo la velocità massima, senza mezze misure e variazioni: così, percuote con la stessa veemenza la pallina gialle e la proprie cosce, strepita e impreca continuamente verso il proprio angolo, spiegandosi e vivendo ogni emozione con ampie sbracciate, con le mani e con la folta capigliatura rossa. Che somiglia tanto alla criniera di un leone. Un leone in gabbia com’è il 26enne di Mosca. 

Anche Torino, alle ATP Finals ha potuto ammirarlo nelle sue reazioni folli, quand’ha pianto in campo dopo il primo set bellissimo, ma come al solito sfortunato contro l’amico di sempre Daniil Medvedev, e poi quando s’è auto-flagellato dopo aver ceduto l’ulltimo game del primo set e il primo del secondo ad Alcaraz.

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Può lamentarsi da 5 del mondo dei tennisti professionisti, numero 30 ogni epoca contando i premi ufficiali che ha incassato (20 milioni e spiccioli)? No, non può e non lo fa. Almeno finché non esce dal ring, cioé dal rettangolo del tennis che frequenta con la medesima attitudine di papà, ex pugile, anche se in realtà l’hanno cresciuto i nonni e quindi Andrey Fyodorovich Tyurakov, ex coach professionista di lotta greco romana, tennista dilettante e compagno di doppio di Boris Sobkin, coach di Mikhail Youzhny e sparring della mitica pioniera del tennis di quelle parti, Olga Morozova. 

Però, dopo aver vinto il Roland Garros juniores ed essere diventato il numero 1di categoria, coccolato dai manager più potenti e allevato alla scuola di Barcellona di Fernando Vicente, poteva aspirare a qualcosa di più. Invece, prima la frattura da stress schiena, poi i problemi tecnici, ma soprattutto, la tenuta mentale, l’hanno frenato. Almeno a livello più alto, i Masters “1000”, che ha sfatato solo quest’anno a Montecarlo e gli Slam, dove al massimo ha toccato i quarti. Prima, poco prima, l’abbiamo intervistato, al Masters 1000 di Roma, dribblando fra mille sue battutine, riferimenti all’amatissima musica, trilli di cellulare dai suoi 500mila followers Instagram.

Andrey, se non fosse stato un tennista che cosa avrebbe fatto?

«Avrei suonato la chitarra in qualche band. Durante la quarantena Covid ho preso altre lezioni e ho imparato a creare canzoni al computer. Gli altri tennisti si rilassano guardando il calcio, la mia vita gravita sempre attorno alla musica: è la cosa, dopo il tennis, che mi fa più felice. Suono da sempre, ma da un po’ lo faccio sempre più seriamente».

Sa che negli anni 60 c’era una band italiana, I Giganti, che cantava: mettete dei fiori nei vostri cannoni?

«Come, come? Bella questa! Ma della guerra non parlo, ne ho già parlato tanto e mi fa male. Fa male a tuttI».

Parliamo di un suo idolo: Rafa Nadal.

«Per me è il miglior atleta non solo nel tennis ma di sempre nello sport».

Parliamo di fortuna: esiste, o c’è una compensazione fra righe e net?

«Beh, guarda cos’è successo agli Australian Open contro Rune. Ero sotto 2-5, ho avuto un match point contro sul 5-6 ed ero sotto 5-0 nel super-tiebreak. Ma ero calmo. E l’ultimo punto non lo dimenticherà più: forse è stato il più fortunato di tutta la mia vita, sul 10-9, hai il punto per andare ai quarti e non ci può davvero essere un momento migliore per un net cord. Altro che montagne russe: sul tie-break mi è sembrato come se mi puntassero una pistola alla tempia… E ne sono venuto fuori in quel modo!».

Perché perde così spesso la testa in campo?

«Fondamentalmente io odio perdere, sono molto migliorato, so che devo continuare a migliorare tanto sull’aspetto mentale che è importante, se non anche più importante. Nei momenti importanti devo essere più concentrato per poter sfruttare le occasioni come fa sempre così bene il mio amico Daniil (Medvedev). Che mi rimanda sempre una palla extra, ma più ci gioco contro e meno mi fa diventare pazzo».

 

Negli Slam si ferma sempre ai quarti: che cosa la blocca?

«Ho avuto le mie chances ma le ho perse sempre per colpa mia, e poi ci ho messo un po’ a riprendermi. E’ probabile che ho talmente tanta voglia di vincere proprio quelle partite che poi vengo sopraffatto dalla pressione che mi metto da solo, mi contraggo, riesco a provare  solo emozioni negative e non mi concedo più nemmeno la possibilità reale di vincere. Perché riesco a malapena a mettere la palla in campo».

Finalmente però ha sfatato il tabù 1000 e ha vinto Montecarlo, ancora in rimonta, ancora contro Rune!

«Ero sotto 4-1, break point del 5-1, ma finalmente ce l’ho fatta, non me l’aspettavo, ma ce l’ho fatta. Quel successo mi ha dato una spinta nuova per spingermi più sù».

Com’è venuto a patti con la sua testa così complicata?

«Sono diventato molto più onesto col team, ho detto e ho ascoltato, e insieme affrontiamo la situazione e analizziamo dove e come possiamo far meglio. Il mio nemico più grosso è quello di mettere i miei pensieri davanti. Quando comincio a pensare alla vittoria, quando mi dico che sto giocando davvero bene, quando mi tranquillizzo perché tutto mi sembra sotto controllo, appena una piccola cosa va storta e la situazione mi sembra che si complichi, mi faccio prendere dallo stress».

Si allena da tanto con Fernando Vicente ma adesso viaggia anche con Alberto Martin. Scuola resta spagnola, botte da russi.

«Vicente mi ha influenzato tanto, sia come allenatore di tenni che come maestro di vita. Da ragazzo ero molto timido, grazi a lui ho imparato a mostrarmi come sono veramente. Così almeno se la gente non ti apprezza non ama il vero e non qualcuno che fingi di essere». A vedere come vive intensamente la vita tennistica è sempre se stesso.

Ultimo aggiornamento: 17 Novembre, 18:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA