Cataldi, il ricatto degli ultrà genoani: «Calci a mia moglie? Solo una protesta». Giudici indignati: «Le sembra normale?»

Il centrocampista della Lazio è stato sentito come testimone nel processo a 15 ultrà del Genoa per i ricatti alla società

Giovedì 23 Novembre 2023 di Valeria Di Corrado
Cataldi, il ricatto degli ultrà genoani: «Calci a mia moglie? Solo una protesta». Giudici indignati: «Le sembra normale?»

«Il calcio a mia moglie? Fu una contestazione minima dei tifosi». Le parole con cui ieri Danilo Cataldi ha ridimensionato l'aggressione nei confronti della consorte Elisa, avvenuta il 7 maggio 2017, ha indignato i giudici del Tribunale di Genova davanti ai quali il centrocampista della Lazio è stato sentito come testimone nel processo a 15 ultrà del Genoa per i ricatti alla società.

Tanto che il presidente del collegio, lo ha interrotto dicendo: «Se le sembra una cosa normale che un tifoso tiri un calcio a sua moglie...».

Danilo Cataldi, l'udienza

A sferrarlo era stato, secondo la Procura del capoluogo ligure, l'ex capo ultrà rossoblu Massimo Leopizzi, che costrinse «il calciatore Cataldi e la moglie a non farsi fotografare da una famiglia di tifosi del Genoa, al termine della partita con l'Inter, perché "indegno"». Un match vinto peraltro dal club rossoblu (1-0). Elisa aveva difeso il marito, rimediando un calcio e diversi graffi. Alla fine dovettero intervenire due agenti di polizia e lo stesso calciatore fu coinvolto in un parapiglia. Evidentemente spaventato da possibili ritorsioni, Cataldi - che ha giocato per il Genoa da gennaio a giugno del 2017 - ieri, in un primo momento, ha minimizzato le pressioni dei tifosi e le aggressioni parlando di «male parole, insulti, ma non contatti fisici». Poi, incalzato dai giudici, ha corretto il tiro, dicendo che si trattava di spintoni e ha confermato le testimonianze rese durante le indagini, a cominciare da quella di sua moglie. L'impressione è che il centrocampista biancoceleste abbia sminuito l'aggressione alla sua consorte non perché giustifichi la violenza sulle donne, ma per timore di vendette degli ultrà nei suoi confronti e della sua famiglia. Per questa sua reticenza, tuttavia, il centrocampista della Lazio è stato redarguito dal presidente del collegio. Nel suo ruolo di teste, infatti, ha l'obbligo di dire la verità. Il rischio - scongiurato dal fatto di aver corretto il tiro - era quello di essere accusato di falsa testimonianza, se non addirittura di favoreggiamento. Nel processo celebrato nell'aula di via del Seminario, e scaturito dall'inchiesta sulle estorsioni alla società del Genoa che si sarebbero protratte dal 2010 al 2017, sono imputati 15 tifosi.

 

 

La versione del giocatore

Il giocatore aveva già comunicato tutto alla Lazio e a Lotito, che ha dato mandato all'avvocato Gentile di assisterlo: «Danilo doveva essere ascoltato a fine ottobre, ma aveva un impegno con la squadra in Champions. Addirittura da Genova avevano chiamato dalla Questura per venire a prenderlo - svela il legale biancoceleste - ma poi tutto si è risolto. Ieri ho parlato con la pm per farlo ascoltare per primo in modo tale che potesse tornare subito ad allenarsi a Formello». Cataldi in persona in serata chiarisce tutto: «Ho confermato quanto già detto in passato e non ho minimizzato l'episodio in cui è stata coinvolta mia moglie. Ho raccontato, anche a distanza di 7 anni, cosa è successo quel giorno a Genova. Credo fermamente nella giustizia e non accetto alcun tipo di insinuazione sul mio conto».

Ultimo aggiornamento: 09:35
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