Del pop italiano dei primi Anni Duemila che oggi torna a far parlare di sé, vedi la reunion di Paola & Chiara dopo il tributo di Elodie con Tribale, loro sono stati fra i massimi esponenti: con mezzo milione di copie vendute tra album e singoli nei cinque anni intensi trascorsi tra Svegliarsi la mattina, Semplicemente e Grazie, gli Zero Assoluto sono diventati il punto di riferimento di una generazione intera, quella dei figli degli Anni ’90, che oggi considerano Matteo Maffucci, 44 anni, e Thomas De Gasperi, 45, i fratelli maggiori della nuova scena indie pop italiana.
Portando avanti un discorso musicale cominciato più di vent’anni fa, sempre all’insegna di una coerenza stilistica e musicale. Dopo Fuori noi (con Gazzelle), Cialde, Astronave, Notti amarcord, stavolta è il turno di Psicologia sociale, appena uscita: «Non ci interessa il successo a tutti i costi. Abbiamo già dato. Le classifiche oggi per noi hanno un’importanza relativa, anche perché con lo streaming è difficile quantificare le copie effettivamente vendute: conta la diffusione», dicono.
Cosa cercate oggi dalla musica, quindi?
«Vogliamo divertirci, senza l’ansia di fare un’hit dietro l’altra. Ci piace confrontarci con i protagonisti della nuova scena: dichiarano tutti di essere cresciuti con le nostre canzoni».
Perché un titolo come “Psicologia sociale”? Cosa raccontate?
«La scienza non c’entra: raccontiamo la leggerezza tipica dell’estate, la fuga dalla quotidianità».
Con chi l’avete scritta?
«Con il romano Matteo Ieva e il viterbese Francesco Facchinetti, che insieme compongono il duo indie Le Ore. Sono più giovani di noi di quindici anni, ma ci siamo rivisti in loro. Sono mossi dalla stessa sana ambizione che avevamo noi quando abbiamo iniziato a scrivere insieme».
I primi esperimenti insieme risalgono addirittura al ‘95: in tutti questi anni mai una crisi, una lite, le avvisaglie di una possibile separazione?
«Mai. Ci mandiamo a quel paese continuamente e senza giri di parole. Capita di pensarla diversamente su certe scelte, ma non abbiamo mai messo in discussione il progetto».
Cosa vi lega?
«Un approccio di tipo passionale alla musica. E poi in ventisette anni abbiamo condiviso troppe cose: i primi pezzi scritti e registrati con le musicassette in cameretta, la ricerca di una casa discografica interessata a investire su di noi, il primo contratto, l’esplosione del fenomeno, il ritorno a una dimensione più umana dopo la fiammata iniziale».
Di quegli anni cosa ricordate?
«La sensazione di vivere, anche con un po’ di inconsapevolezza, qualcosa di incredibile».
L’immagine che vi viene in mente se oggi riascoltate il ritornello di “Svegliarsi la mattina”?
«I bagni di folla ovunque. Soprattutto d’estate, quando partecipavamo ai vari Festivalbar, Trl e agli altri festival itineranti. E poi le code di fan che si formavano dietro di noi quando mettevamo piede fuori da casa. Dovevamo nasconderci nei negozi e uscire dalle porte sul retro. Scene che oggi, nell’era dei social, non si vedono più».
Il revival del pop di quegli anni, nei suoni e nelle atmosfere, come ve lo spiegate?
«Da anni ormai la musica guarda al passato: dopo il ritorno dell’elettropop degli Anni ‘80 e della disco music degli Anni ’90, ora si prende una rivincita anche il pop dei nostri anni. E noi con lui».
Di quel pop restano segni tangibili nelle classifiche e nelle bacheche di chi ne è stato un protagonista, tra Dischi di platino e melodie che ancora oggi uniscono più generazioni, come nel caso di Max Pezzali a San Siro. Cosa resterà degli Anni Duemilaventi?
«Escono canzoni a ritmi industriali. Così dura tutto pochissimo. Sarà il tempo a dire cosa rimarrà e cosa no: ne riparleremo tra una decina d’anni, magari (ridono)».
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout