Prima le fiamme alte, poi il boato. E il fuoco che inghiotte un’auto in piena notte a Ostia. Non una vettura qualsiasi, ma quella in uso a Manuel Sannino, il genero di Vito Triassi il boss scomparso cinque anni fa - legato alla cosca mafiosa dei Cuntrera-Caruana di Siculiana - e considerato insieme al fratello Vincenzo, capo dell’omonimo clan di Ostia, storicamente in contrasto con il gruppo Fasciani.
Gli aggressori - mai rintracciati - si diedero alla fuga, mentre il ferito fu raccolto e portato via da una macchina bianca - alla cui guida probabilmente c’era un familiare - che è schizzata a tutta velocità in direzione dell’ospedale Grassi, dove fu medicato. Quell’episodio, così come l’incendio dell’auto, avvenuto sabato notte in via Tagaste, per chi indaga è un «segnale». Il rogo potrebbe essere maturato in un contesto di droga e gioco d’azzardo, ambito in cui da sempre si muovono i Triassi. È la mala del litorale di Roma a gestire le bische, più delle volte camuffate da sale biliardo, tra Ostia e Acilia. Lo smercio di una partita di cocaina e un giro d’affari legato alle scommesse clandestini, sarebbe la pista che sta seguendo chi indaga. Gli inquirenti stanno conducendo le indagini tra muri di omertà e dichiarazioni ritenute «non collaborative». Proprio come quelle di Manuel Sannino che è stato ascoltato dagli investigatori nelle ore successive all’incendio. Una testimonianza piena di «non lo so, e non ricordo». Dalle carte della Procura, poi, risulta anche che il genero di Triassi ha gestito almeno per un anno un tratto di spiaggia sul lungomare Paolo Toscanelli, formalmente in concessione ad un istituto religioso di suore. «I Triassi - scrivono i carabinieri in una vecchia informativa - attraverso una ditta intestata al genero di Vito, Manuel Sannino, gestivano un tratto di spiaggia sul lungomare Paolo Toscanelli, formalmente in concessione a un istituto religioso di suore che, per la pulizia e le attività di manutenzione dell’arenile avevano delegato la ditta del Sannino, con una scrittura privata». Quel tratto di spiaggia era stato dato alla famiglia Triassi come «risarcimento», in quanto non si era riuscito a fare ottenere al clan l’assegnazione di un bando per la gestione delle spiagge libere.
L’ALTRA IPOTESI
In un primo momento si era pensato anche a un altro scenario. Si è ipotizzato, infatti, che potesse trattarsi di un’intimidazione nei confronti di uno dei membri di Area 121, la comunità interconnessa all’estrema destra, presente all’interno del villaggio Azzurro di via delle Baleniere, ma le risultanze investigative hanno spostato il baricentro verso l’ambiente delle organizzazioni criminali. Al vaglio degli investigatori, le telecamere della zona e quelle delle strade che portano alla rotonda di piazzale della Posta, accesso alle vie di fuga verso altri quartieri.