Charlie Hebdo, la vignettista che ha aperto la porta: «Così mi sono salvata»

Giovedì 8 Gennaio 2015 di Luigi Fantoni
Charlie Hebdo, la vignettista che ha aperto la porta: «Così mi sono salvata»

È stata Corinne Rey, meglio conosciuta come “Coco”, una delle vignettiste del settimanale satirico, sopravvissuta al massacro ad aprire la porta della redazione. Stava rientrando dopo essere andata dalla figlia all'asilo.

Sotto la minaccia delle armi è stata costretta a digitare il codice per entrare nell'ufficio.


CINQUE MINUTI

«Superato l'ingresso hanno sparato a Wolinski poi a Cabu. Erano seduti uno accanto all'altro. Tutto è durato cinque minuti, forse anche meno. Una pioggia di colpi. Io sono riuscita a ripararmi sotto una scrivania e non si sono accorti che ero lì. Parlavano un ottimo francese, urlavano e sostenevano di essere di Al Qaeda». Parla con tono concitato Corinne Rey. Si ferma, riprende fiato. «Ero andata dalla mia bambina all'asilo. Quando sono arrivata davanti alla porta del palazzo del giornale, due uomini incappucciati e armati mi si sono avvicinati con i kalashnikov il passamontagna calato sul viso e mi hanno spinto per digitare il codice che apre la porta.

Di corsa sono saliti diretti verso l'ufficio. Poi gli spari».

«Dov'è Charlie Hebdo? Dov'è Charlie Hebdo?», urlavano gli assassini, raccontano i testimoni, prima di uccidere la loro prima vittima, un addetto alla portineria che cercava di fermarli. Poi al piano superiore e l'irruzione all'interno dei locali del settimanale dove nessuno ha avuto il tempo di reagire. È l'inizio di una carneficina.

LE IMMAGINI

Gli assalitori gridavano «Allah è grande» anche quando, in strada, stavano per risalire sull'auto e scappare. Come testimoniano le immagini girate dal giornalista Martin Boudot che abita vicino alla redazione del settimanale.

Si è salvata dal massacro anche un'altra disegnatrice, Catherine Meurisse, arrivata in ritardo alla riunione di redazione che si stava svolgendo nel momento dell'attacco: «Ho visto i due uomini incappucciati che correvano per la strada nel momento stesso in cui stavo arrivando al palazzo. Volavano spediti, da una parte all'altra del marciapiede. Erano molto agili ma l'attitudine era quella di un assalto in sile militare. Non mi sono resa conto subito di quello che avevano fatto nell'ufficio del mio giornale».

LA POSTINA

Aggiunge alcuni dettagli alla scena Yve Cresson, produttore di audiovisivi con l'ufficio accanto a quello della redazione, che su Twitter scrive: «Intorno alle 11,25 i due assalitori sono entrati nel palazzo sbagliato». «Hanno approfittato - aggiunge poi nel suo racconto - della postina che entrava nell'immobile ma poi sono subito riusciti. Devono essersi accorti di non essere entrati nel palazzo che era il loro obiettivo. Con la stessa velocità si sono diretti verso il portone giusto».

«Credevo fosse un gioco tra adolescenti - aggiunge Laure Manent, una giornalista di France 24, che passava in rue Nicols Appert mentre negli uffici di Charlie Hebdo si sparava - ho sentito degli scoppi ma non vedevo nessuno e per questo pensavo fosse uno scherzo. Poi, il dramma».

Le testimonianze si sovrappongono e combaciano. Sia quelle prima della sparatoria sia quelle dopo quando hanno lasciato dodici cadaveri a terra. Gli attentatori devono aver ripetuto molte volte le stesse parole dal momento che molti raccontano di aver sentito scandire quelle frasi a voce alta e in modo continuativo. Oltre “Allah è grande” anche “Abbiamo vendicato il Profeta”.

LA CALMA

Subito prima dell'attacco i killer parcheggiano la Citroen, avvicinano un uomo, Cédric Le Béchec e rivendicano la strage che sta per iniziare, annunciano che di lì a poco ci sarebbe stata una carneficina. Parole veloci ma, dice il testimone, scandite in un perfetto francese. «Dì ai media che siamo di Al Qaeda, in Yemen», racconta Le Béchec. Quando i terroristi sono in fuga prendono una Renault (la abbandoneranno in periferia) costringendo il guidatore a lasciare la vettura.

«Mi hanno bloccato e intimato di scendere - dice l'uomo - avevano molta molta fretta ma erano calmi. Ho fatto in tempo a dire che nel bagagliaio c'era il cane. Ho chiesto di tirarlo fuori e loro lo hanno fatto». Anche adesso, sulla via della fuga, hanno ripetuto “Siamo di Al Qaida Yemen”.

LA TERRAZZA

Abitanti dei palazzi accanto, oltre ad alcuni redattori di Charlie Hebdo, sono riusciti a riprendere le scene con il telefonino ma, ricordano, «ci siamo abbassati dietro un muretto di una terrazza perché temevamo che i colpi arrivassero fino a noi in alto».

«Pochi spari ci hanno fatto capire che cosa stesse accadendo, ci siamo accovacciati e siamo rimasti fermi fermi. Abbiamo ripreso la strada con il telefonino senza guardare».

Ultimo aggiornamento: 9 Gennaio, 09:16