Chi sale e chi scende lo vedremo il 9 giugno, ma intanto si può fare il borsino dei leader a inizio campagna elettorale, delle aspettative dei partiti, delle scelte dei big (mi candido, non mi candido), delle strategie in corso (esempio: riuscirà il terzo polo a unire almeno Calenda e Bonino, visto che Renzi è già abbondantemente via?).
Giorgia Meloni (più sì che no) si candida. Elly Schlein (più no che sì) aspetta le mosse della competitor. Matteo Salvini e Antonio Tajani non correranno. Matteo Renzi si presenta in tutte e cinque le circoscrizioni: giocandosi la sua partitissima. Carlo Calenda scalda i motori di Azione ed è convinto, senza candidarsi ma giocando da top player e da uomo ovunque, di portare il suo partito all’8 per cento. E poi: Giuseppe Conte. «Non truffo gli elettori mettendo il mio nome in lista», dice. E però ce la metterà tutta: se nel Pd le Europee vengono vissute come un congresso di partito (riuscirà Elly a salvarsi dai notabili che ne prevedono e forse ne propiziano il capitombolo?), in M5S la consultazione per Bruxelles è più che altro un derby contro i dem. Ovvero, raggiungerli e superarli intorno al 20 per cento e poi, per Conte, aggiudicarsi lo scettro di leader e federatore dell’intero centrosinistra alle Politiche del 2027.
Meloni si sta studiando i precedenti dei leader in corsa alle Europee e per decidere di parteciparvi è confortata dal fatto che tutti o quasi i grandi politici hanno tirato la volata ai loro partiti facendo i capilista in direzione Bruxelles-Strasburgo: da Andreotti a De Mita, per non dire di Fini, Bossi, Bonino tutti e tre insieme in lizza nel 1999 o - nel primo voto europeo, 1979 - di Zaccagnini, Craxi, Berlinguer, Pannella (che poi nel Sud optò in favore di Leonardo Sciascia).
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LE SOGLIE
Il borsino è più o meno questo, la madre di tutte le battaglie (le altre sono alle Regionali e alle Comunali) è cominciata e da qui a giugno non faremo che sentire dai protagonisti grandi promesse sull’Europa, sommi progetti comunitari e infiniti piani di rilancio per il Vecchio Continente. Ma in realtà questa è una, legittimissima, contesa interna di potere e guai a dimenticare l’avvertimento di Max Weber: «I programmi politico-elettorali hanno un significato quasi puramente fraseologico».