Mancini, la verità sulle dimissioni: «Non c'era più fiducia in me. Attacchi personali? Non ho ucciso nessuno». C'è l'Arabia (e spunta il Messico)

Il giorno dopo l’addio alla Nazionale parla l’ex ct : «Quanti attacchi personali e giudizi morali, non ho ucciso nessuno»

Martedì 15 Agosto 2023 di Alberto Dalla Palma
Mancini e le dimissioni: «Non c'era più fiducia in me. Gli attacchi personali? Non ho ucciso nessuno». C'è l'Arabia (e spunta il Messico)

Il giorno dopo il ribaltone dell’estate italiana, la reazione scossa e anche sorpresa. «Ma mica ho ucciso nessuno, ho solo esercitato un diritto alle dimissioni. Perché tanti attacchi così violenti sul piano personale?». Roberto Mancini è rimasto a Mykonos, in mezzo ai suoi tormenti e alla sua delusione.

Ha lasciato la Nazionale, quasi a Ferragosto, dopo aver accettato di diventare il responsabile unico di tutte le selezioni azzurre solo due settimane fa. «Non mi sentivo più nell’ambiente giusto» ha spiegato al presidente della Figc Gabriele Gravina in almeno tre telefonate prima dell’atto formale, la consueta Pec che si manda a qualsiasi azienda per certificare l’atto delle dimissioni, liberare il posto e non essere più un dipendente.

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Da qualche settimana viveva il suo incarico tra mille dubbi e preoccupazioni, il 3 agosto era uscito dalla sede della Figc stordito dagli eventi ma anche consapevole che tutto sarebbe stato più difficile senza i suoi uomini accanto. E ci riferiamo al campo, ai ritiri, alle riunione dello staff alla vigilia delle partite: è vero che si erano salvati più o meno quasi tutti (Salsano recuperato all’ultimo tuffo, Evani no e destinato dai vertici alla nazionale femminile e non a un ruolo di maggiore prestigio come desiderava l’ex ct), ma un conto è avere i collaboratori al fianco, un conto è averli nella stessa azienda ma assegnati ad altri incarichi. E Mancini non lo ha accettato, seppure con notevole ritardo. Avrebbe potuto e dovuto sbottare il 3 agosto e regolare subito i conti, probabilmente, e lo ammette anche lui. «Sì, è il mio principale rammarico in tutta questa vicenda, ma ho pensato che avrei potuto resistere e adattarmi, ritenevo anche che potesse cambiare qualche cosa».

E invece sono arrivate le dimissioni, all’improvviso.

«Mi sono confrontato con il presidente almeno in due o tre occasioni, gli ho telefonato e gli ho espresso le mie sensazioni. C’era qualcosa che non andava, poi ho deciso».

E ha mandato la famosa Pec.

«Un atto formale e definitivo, come fanno tutti i dipendenti di questo mondo. Mi scusi, ma se lei lascia un incarico pensa di risolvere il suo problema a voce oppure deve mandare una comunicazione scritta in modo da consentire la sua sostituzione? Invece si è scatenato di tutto».

Beh, il ct che lascia l’Italia a Ferragosto è una notizia bomba, almeno per il mondo dello sport.

«Ma io non ho ucciso nessuno e mi sembra di essere stato trattato come non meritavo. Circolano troppe cose che non rispecchiano la realtà».

L’ultima: si è dimesso dopo l’arrivo di Buffon, un altro del giro Juve.

«Assolutamente no, sapevo che il presidente Gravina avrebbe scelto Gianluigi ed era la soluzione giusta dopo l’addio di Vialli. Niente contro di lui».

E contro Barzagli?

«Neanche, perché quando mi hanno chiesto di rinnovare lo staff ho accettato l’idea di integrare il gruppo di lavoro con lui e con Gagliardi, il match analyst. Invece è andata in maniera diversa».

Tutti fuori e destinati ad altri incarichi i suoi principali collaboratori, che sono anche amici fidati.

«Lo staff non andava bene? Ma era lo stesso con cui avevo vinto il campionato d’Europa. E insieme abbiamo fatto festa. Cosa c’era che non andava? Cosa era cambiato?».

Ma doveva insistere con il presidente Gravina, ed eventualmente lasciare il 3 agosto.

«Io sono orgoglioso di aver allenato l’Italia per cinque anni e sono legato alla maglia azzurra anche se qualcuno può pensare il contrario. Ho pensato che avremmo sistemato le cose strada facendo, che si potesse continuare e ho accettato».

E invece no, non è accaduto.

«No, non mi è sembrato di trovare il clima con cui era cominciata questa avventura. Se a un allenatore toccano lo staff di fiducia è come certificare la mancanza di fiducia nel gruppo di lavoro».

Temeva un ribaltone al primo passo falso? Un possibile esonero?

«Questo lo dice e lo pensa lei».

Si aspettava un ciclone del genere dopo le sue dimissioni?

«No, non mi aspettavo certi giudizi morali».

Ha spiazzato la Figc a meno di trenta giorni dalla ripresa dell’attività azzurra.

«C’è il tempo per fare tutto. La Nazionale non è un club, chiunque venga dopo di me avrà il tempo per organizzare il lavoro perché in azzurro non si scende in campo ogni giorno. Se fossi rimasto io, avrei allenato durante la sosta all’inizio di settembre. E così farà il mio erede. C’è tempo ancora».

Spalletti in pole, Napoli permettendo.

«Auguro a Luciano, se tocca a lui, il miglior futuro sulla panchina dell’Italia. È un ruolo che regala emozioni uniche, sono sicuro che farà bene».

E Mancini che cosa farà?

«L’allenatore, come sempre. Da oggi sono un uomo libero, in grado di ascoltare le eventuali proposte che mi arriveranno. E se una mi convincerà, tornerò in pista subito. Le mie dimissioni non sono legate a un accordo già raggiunto».

È pronto anche ad andare in Arabia o in Messico, dove circola il suo nome?

«Sono pronto a lavorare, dove non lo so. Devo essere convinto da un progetto. Dimettersi dal ruolo di ct non significa smettere di lavorare. La vita va avanti, per me come per tutti. Allenerò, subito o più tardi. Oggi non lo so».

Ma la Nazionale, ad un certo punto, era proprio la sua ragione di vita.

«Sì e sarò per sempre il suo primo tifoso. Non potrò mai dimenticare le emozioni che ho provato. Purtroppo è andata a finire così».

Senza il mondiale, come era accaduto da giocatore, quando disse di no a Sacchi nel ’94 perché non si sentiva più amato. Era destino che trent’anni dopo accadesse la stessa cosa ma con un presidente e non più con un allenatore. E ora? Mancini si metterà alla finestra, nella notte è stato chiamato da un interlocutore che gli ha parlato della selezione messicana mentre a Riad sono convinti che uno dei prossimi sbarchi nella nuova frontiera del calcio sarà proprio quella dell’ex ct azzurro, a cui la Federazione - sempre secondo fonti locali - vorrebbe offrire la panchina della Nazionale e anche una pioggia di milioni per arrivare ai Mondiali del 2026.

La seconda parte del progetto prevederebbe, successivamente, la trasformazione di Mancini in uno dei simboli di quelli del 2030, che il presidente della Fifa Infantino è pronto a consegnare al Fondo Pif, il polmone economico dell’Arabia Saudita. Ma qui siamo veramente di fronte alle ipotesi più bizzarre e imprevedibili degli ultimi anni. Anche perché l’ex ct azzurro, nel corso della sua carriera, per sette anni (anzi, molti di più) è rimasto solo alla Samp e accanto aveva Vialli. Forse con Gianluca ancora al suo fianco non sarebbe andata a finire così.
 

Ultimo aggiornamento: 15:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA