The Kolors, Stash: «Italodisco nata al bar con Davide Petrella, parlando dei Righeira e di tatuaggi brutti. E dopo 15 minuti...»

Il frontman della band campana racconta la creazione di uno dei brani più ascoltati di questa estate

Sabato 19 Agosto 2023 di Annalia Venezia
The Kolors, Stash: «“Italodisco” nata al bar con Davide Petrella, parlando dei Righeira e di tatuaggi brutti. E dopo 15 minuti...»

«Questa non è Ibiza» è la frase dell’estate, suonata in radio, sui social e nei locali di tutta Italia. Non tanto per una questione nazionalista, ma perché è il ritornello di Italodisco, il pezzo che da fine maggio a oggi non fa che conquistare primati. Anche in Europa, perfino in Spagna. «Diciamoci la verità: chi se lo aspettava che i The Kolors per settimane sarebbero stati primi nelle classifiche, coi mostri a tre teste che sono usciti in contemporanea», dice Antonio Stash Fiordispino, 33 anni, frontman della band (gli altri due membri della band sono il cugino batterista Alex Fiordispino e il bassista Dario Iaculli).

E per mostri a tre teste intende i big che hanno ideato pezzi rimasti indietro. Lui, Stash, che nel 2015 ha vinto Amici di Maria De Filippi, di vite sembra averne vissute tante: «Dal successo che non ti fa capire più niente a quando fai meno serate e arriva il produttore sudamericano che ti propone un disco in spagnolo. E quasi quasi accetti», racconta.

Non mi dica che non si aspettava il successo.
«Lo assicuro, no. Ancora oggi m’imbarazzano i complimenti».

Il testo è di Davide Petrella, il paroliere più famoso d’Italia.
«Siamo entrambi di Napoli, il testo è nato al bar in un quarto d’ora, davanti allo studio. Ci conosciamo da una vita».

Com’è andata?
«Era ottobre 2022, ci siamo incontrati per una session spontanea, un flusso di coscienza in studio. Io con melodie, armonie e accordi. A un certo punto gli ho detto: “Questo tatuaggio non mi piace più”. E lui lo ha messo nel pezzo».

E suonare prima dei Coldplay, una delle strofe, le era stato proposto davvero?
«No. In quei giorni aprirono le prevendite a Napoli e molti amici ci scrivevano per trovare i biglietti. E io a Davide: “Uagliò, ma ti immagini suonare prima dei Coldplay?”, e finisce nella canzone. Come i Righeira, di cui ricordavamo i successi: “Ma che ne sanno i giovanissimi di chi ha fatto la storia dell’Italodisco”. Davide ha immortalato il feeling di quel momento». 

Non ha paura di essere etichettato come “quello del tormentone”?
«Per me è una vittoria vedere migliaia di persone ai concerti che cantano un mio pezzo».

Mi dica un tormentone che ha amato.
«I Pink Floyd hanno segnato la mia vita, grazie a mio padre che me li ha fatti amare. Penso a Roger Waters e al singolo Another brick in the Wall coi bambini che cantavano, “We don’t need no education” (la intona, ndr). Anche quello era un tormentone tratto da The Wall per arrivare alle radio. Ma dietro quel testo c’è un significato enorme, paragonabile a 1984 di Orwell».

Ha cambiato tre case discografiche. Che cosa ha imparato dalle fasi no?
«Ringrazio i singoli andati male perché mi hanno fatto riflettere sui miei obiettivi. In quei momenti di paura, quando non sai se farai più 50 concerti all’anno e non hai mille eventi a cui presenziare, rischi di perdere l’autenticità». 

Che cosa l’ha aiutata?
«Oltre alla mia compagna Giulia, che mi aiuta a riflettere, è stato fondamentale essere parte di una vera band. Il confronto genuino non ha prezzo».

Le hanno mai proposto progetti da solista?
«Certo. E infatti ho creduto nella nostra visione, non in quella che altri avevano per noi. Saremo sempre i The Kolors».

Nei momenti di successo che succede?
«Tutti ti chiamano per collaborare. Ma non mi fido di chi si fa vivo solo quando sali, rimango coi piedi per terra». 

Samuele Bersani è andato contro Sfera Ebbasta, che sul palco ha perso l’autotune e ha stonato: lei da che parte sta?
«Quando Elvis Presley arrivò distruggendo un sistema, Frank Sinatra disse di lui che cantava la musica del diavolo. Per poi duettarci più avanti. Quando Jimi Hendrix sperimentò la distorsione delle chitarre a Woodstock fu uno scandalo. Come succede oggi per l’autotune. Per me aveva ragione Hendrix».

In macchina che musica ascolta?
«I Pink Floyd e Michael Jackson. Oppure funk o urban funk Anni 80 e 90. Mi fa stare bene».

E i neomelodici?
«Raccontano una Napoli diversa dalla nostra, ma mi ricordano anche le vacanze con gli amici, in cui dovevi per forza conoscere certe canzoni. È divertente cantarle, è il nostro soul».

La vedremo con qualcuno di loro sul palco?
«Tanti esponenti, tramite i miei familiari, mi hanno chiesto di duettare. Non è nei miei progetti ma mi lusinga che ci abbiano pensato».
 

Ultimo aggiornamento: 11:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA