Per il Veneto ed il Nord Est è assolutamente necessario che si avvii un dibattito politico, economico e sociale sul ruolo delle città nella transizione in corso verso forme globali. A tal proposito ho trovato interessante, nel silenzio generale, la voce del Presidente della Confartigianato Imprese Veneto Agostino Bonomo che, da queste pagine, ha lanciato qualche giorno fa un appello di sostegno al ruolo delle città quali fornitrici di servizi e conoscenze alle imprese e di piattaforme per l'accesso a filiere e mercati globali per un Veneto davvero competitivo. Oggi il Nord Est ha un grande problema da risolvere: la mancanza di una vera strategia di coordinamento. Mi spiego. Nato policentrico (dal punto di vista urbano), scala dimensionale a lungo coltivata e considerata quella giusta, ha scoperto in anni più recenti il problema della mancanza di una dimensione metropolitana. Dal dopoguerra agli anni 80 si è infatti affermato il policentrismo, superato in seguito dall'imporsi, in Europa e nel mondo, di una scala superiore: quella metropolitana. Ma data l'assenza in Veneto di città paragonabili a Milano per la Lombardia, Bologna per l'Emilia- Romagna e Torino per il Piemonte, si è ipotizzato, negli anni 90, di rispondere con un coordinamento: la PaTreVe. Tentativo fallito per mancanza di visione politica. Oggi però, non sono più né l'estensione fisica né la varietà delle attività industriali a definire la città in modo decisivo. Sono piuttosto le caratteristiche di centro politico e di mercato economico a combinarsi nella tipologia di città. Dobbiamo quindi relativizzare la scala perché oggi città piccole ma coordinate possono fare cose grandi e viceversa grandi agglomerati possono risultare marginali. Non esiste una dimensione ottimale, ma va individuata quella adatta ad affrontare i problemi e le sfide che si hanno di fronte. La novità è il concetto di città corridoio (non solo in Italia, ma qui più che altrove). A differenza della dimensione metropolitana classica, che è sempre limitata ad una regione, il corridoio ha una valenza anche sovra regionale. Due esempi concreti sono il corridoio Milano-Bologna-Rimini e quello Milano-Padova-Venezia. Questa è la dimensione nuova su cui ragionare. Ma chi, in Veneto, riflette su queste dimensioni? A parte il segnale lanciato dagli artigiani, non esiste in regione un dibattito. Fallito il policentrismo, preso atto dell'impossibilità di raggiungere la dimensione metropolitana, non è stata avviata nessuna riflessione né tanto meno avanzate visioni, e pensieri sulle possibili soluzioni alternative. A mio parere si deve avere il coraggio, innanzi tutto, di affermare la mutata geografia dello sviluppo regionale; capire quindi di cosa questa nuova dimensione creatasi nei fatti abbia bisogno per consolidarsi e svilupparsi. La città corridoio deve infatti essere dotata di una sua governance, serve un coordinamento tra le città da Verona a Vicenza, a Padova, Treviso e Venezia. Ma cosa significa? In quest'asse si forma la gran parte del PIL veneto, si concentrano i sistemi di conoscenza, si localizza quasi tutto il sistema economico, finanziario e bancario. Se ci fosse una governance essa sarebbe la base di una possibile rinascita del Nord Est, di una nuova visione strategica e di una rinnovata sinergia con Milano. Partendo dall'abbandono di posizioni ostili a Milano, che è il vero centro del Nord, e affermando un coordinamento (come recentemente è avvenuto con le Olimpiadi). Oggi questa serie di città è di fatto disconnessa. Pensano a sé senza nessuna visione complessiva, mentre messe insieme (in rete) potrebbero competere e ragionare in grande; allineare dossier e progetti che sono impensabili oggi e purtroppo, impensati dalla politica, dalla società civile e dall'economia che coltivano ancora il localismo. Non ci sono in UE esperienze di città corridoio cosi intense come quelle che ritroviamo nel Nord Est d'Italia. Ci sono grandi città dominanti in Francia, Inghilterra, Spagna, forse un paragone è possibile con le strutture urbane reticolari sviluppate in Olanda e Germania ma, i nostri corridoi urbani, sono economicamente e socialmente più rilevanti. Non si deve infine pensare alle sole infrastrutture materiali che, in gran parte, già ci sono o sono progettate. Mancano quelle immateriali e della conoscenza, decisive. Ad esempio, il rapporto tra gli atenei veneti che si sviluppano sull'asse VeronaVenezia sarebbe una straordinaria rete di conoscenza se fossero coordinati e integrati. Potrebbero portare a risultati oggi impensabili ma necessari a competere con la sfida globale odierna e con i poli milanese, bolognese e torinese che sono più strutturati. Quelli veneti da soli sono troppo piccoli, con capacità di ricerca a volte eccellenti ma complessivamente insufficiente. E' uno dei fattori decisivi. Il nuovo triangolo neoindustriale individuato 10 anni fa, Milano-Bologna-Venezia, è più attuale che mai ma, l'asse forte e portante oggi è quello milanese-emiliano. L'asse veneto è rimasto indietro e quindi, tutto quanto si è detto diventa ancora più urgente.
*Professore Università
Piemonte Orientale
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