Il cuoco innamorato celebra le bollicine

Mercoledì 20 Novembre 2019
Claudio De Min

Tanto per cominciare non chiamatelo chef ma cuoco: Armando Zanotto, Armandino per gli amici (anche se è bello alto e porta benissimo i suoi 78 anni) è uno che ha scritto la storia della ristorazione veneta: il suo Tre Panoce, a Conegliano, l'ex convento trasformato in ristorante (e dal 2014 affidato a Renato Vettorello), per oltre trent'anni, a partire dal 1981, ha tracciato la strada dell'accoglienza trevigiana, luminosa presenza, tempio (circondato dal parco, dalle vigne e benedetto da una splendida vista) del buon mangiare, tradizionale ma sostenuto da una spinta creativa, uno sguardo attento al futuro, all'innovazione, alla modernità, mai fermo e mai appagato, in un luogo che valeva il viaggio sia per i comuni mortali sia per i Vip, che salivano fin quassù con l'acquolina in bocca.
Lui, ragazzotto che dire vivace è poco, impertinente e immarcabile, birichino e giocherellone si definisce - probabilmente con una certa generosità -, che sognava di diventare pilota di aerei e invece lo hanno spedito all'istituto alberghiero a Venezia, e che però adorava aiutare mamma Nella nelle cucine della modesta trattoria di famiglia a San Polo di Piave, che poi sarebbe diventata il prestigioso Parco Gambrinus: sbucciare patate, tagliare cipolle, mescolare il riso perché non si attaccasse, tutto lo affascinava pur di stare in cucina.
Adesso che quelli chiamati chef stanno in televisione, lui, il cuoco, ricorda che fu il primo di tutti ad andarci, dopo aver fatto parte (nel lontanissimo 1960) dell'equipe di cucina italiana alle Olimpiadi di Roma del 1960 (poi sarebbe stato anche a Monaco, nel 1972), vero precursore di un genere di informazione che oggi ha quasi invaso i palinsesti televisivi, ma allora era originale, insolita, neonata. Incontro con i giovani cuochi d'Italia, partner Ave Ninchi, simpatica e brava attrice ed esperta gastronomica, fu il debutto televisivo, nel 1968, quando aveva 27 anni. Nel 1969 partecipò a Il vino e il cibo a tavola (accanto ad un altro mito, Luigi Veronelli, cantore del vino e della italica vite). E poi Il Veneto in cucina, Colazione allo studio 7 e ancora - nel 1972 - A tavola alle 7. Si è persino affacciato al cinema, Armandino: era il 1973, collaborò alla realizzazione dei menu del leggendario film di Marco Ferreri, La grande abbuffata con Mastroianni, Tognazzi, Piccoli, Noiret.
Un tipo piuttosto dinamico, Armandino, perché fra una trasmissione e l'altra, un viaggio a Roma e uno a Milano, e la cura del suo Tre Panoce, ha sfornato una quantità esagerata di libri: l'ultimo (Il Prosecco in cucina, De Bastiani editore, 17 euro) è il decimo e, a dispetto del titolo semplice semplice, è a suo modo rivoluzionario, un'altra bella prova, quasi visionaria come lo fu, a suo tempo il primo, quello dedicato al Radicchio di Treviso, pubblicato 37 anni fa, e diventato un best seller. Visionaria perché eleva il prosecco dal ruolo di accompagnamento (nei calici) della cucina, al massimo comparsa al momento di sfumare qualche pietanza, apparizione fugace ed evaporante, a quello di protagonista assoluto, padrone del piatto in cento-ricette-cento, prima pensate, poi provate e riprovate nella sua cucina laboratorio, per avere la certezza che tradotto in pietanza, messo sul piatto il pensiero fosse equilibrato, goloso, giusto.
Armando col prosecco ha fatto besciamelle e maionese, lo ha messo nella polenta, ci ha bollito i moscardini, gli ha fatto accarezzare il lardo di colonnata, arricchire la zuppa di vongole. Lo ha trasformato perfino in vellutata, lo ha usato sul filetto di maiale mignon, nella pasta frolla, nella crema pasticcera, nel gelato e infine per preparare un budino. Fra un succo di uva Glera e una centrifuga di acini, ha cucinato la pasta corta nelle bollicine anziché nell'acqua, inventato la marmellata al prosecco e reinventato il Tiramisù.
Chi e cosa gli abbia fatto intraprendere questa nuova, faticosa e affascinante impresa è presto detto: è stato l'amore. Per la cucina e per la mamma, per la moglie Ave, per i figli e i nipoti. E per la vita. Infatti, scrivendolo, ha capito di essere un uomo felice.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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