ERACLEA
«Le armi? Mai viste. Il boss dei casalesi Nicola Schiavone? Mai

Venerdì 26 Febbraio 2021
ERACLEA
«Le armi? Mai viste. Il boss dei casalesi Nicola Schiavone? Mai conosciuto. Salvatore Laiso? Mai stato a casa mia, al contrario di quanto ha dichiarato: ce l'ha con mia cognata che lo ha messo alla porta perché tossicodipendente. Non ho parole di fronte a un pentito che racconta una serie di cose non vere, non so come posso difendermi».
Raffaele Buonanno, 61 anni, uno dei principali imputati al processo sulle infiltrazioni della camorra nel Veneto orientale, ha preso la parola in chiusura dell'udienza di ieri, nell'aula bunker di Mestre, per replicare alla deposizione di Laiso, ritenuto dagli inquirenti campani tra i collaboratori di giustizia più importanti per smantellare la rete criminale dei casalesi. Buonanno ha voluto rilasciare spontanee dichiarazioni, in collegamento video dal carcere nel quale si trova detenuto con l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso, dipingendosi «come Cristo in croce»: accusato ingiustamente e impossibilitato a difendersi. «Ogni visita con il mio difensore mi costa mille euro soltanto per il suo viaggio in aereo, e per colloquiare con lui ho a disposizione appena 10 minuti al telefono...», ha protestato con il presidente del Tribunale, Stefano Manduzio.
LE ARMI
La deposizione di Laiso, iniziata attorno alle 11.30 e terminata alle 17, ha riguardato soprattutto il ruolo di Buonanno, contro il quale i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini hanno raccolto un corposo materiale probatorio: il pentito ha raccontato che fu lui a procurargli alcune armi, tra cui due mitragliette e tre pistole. Nelle dichiarazioni verbalizzate nel 2010, quando iniziò a collaborare, dopo che suo fratello Crescenzo fu ucciso dal clan, Laiso aveva fatto il nome anche di Luciano Donadio come rifornitore di armi. Ma ieri ha rettificato il tiro, ammettendo soltanto che il boss di Eraclea era un «appassionato di armi».
Dalla deposizione del collaboratore di giustizia, lo spessore di Donadio è uscito ridimensionato rispetto a quanto emerso finora: Laiso lo ha definito «un grande imprenditore», spiegando che come tutti gli imprenditori era amico dei casalesi, senza saper però indicare se fosse loro «socio o vittima».
FALSE FATTURE
Nel verbale del 2010 aveva dichiarato che parte dei soldi investiti nelle aziende di Donadio arrivavano da Schiavone; ieri in udienza ha detto di non ricordare, precisando che molte delle cose che sapeva su di lui le aveva apprese dal fratello Crescenzo, che con Donadio lavorò un paio di anni, dopo essersi rifugiato ad Eraclea per evitare di essere ammazzato. Il fratello, ad esempio, gli aveva riferito che le società di Donadio emettevano false fatture ed alcune erano gestite da prestanome, svuotate e fatte fallire: una delle accuse che la Procura muove al boss di Eraclea. Laiso ha poi confermato di aver incontrato Donadio e Buonanno a casa di Augusto Bianco, all'epoca umo di punta del clan dei casalesi.
L'udienza è stata piuttosto movimentata, con la difesa di Donadio, rappresentata dagli avvocati Renato Alberini e Giovanni Gentilini, che hanno contestato alla Procura una serie di domande ritenute suggestive, lamentando l'atteggiamento irrispettoso del pentito. Il legale di Buonano, Giuseppe Brollo, ha quindi cercato di mettere in evidenza contraddizioni nel racconto di Laiso.
Il processo proseguirà il 4 marzo con l'audizione di un altro collaboratore di giustizia, Raffaele Piccolo.
Gianluca Amadori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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