Bonifacio, principe del Santo

Venerdì 20 Novembre 2020
Bonifacio, principe del Santo
IL PERSONAGGIO
Non si sa bene come sia morto. C'è chi dice di vecchiaia nel suo letto, alla veneranda età, per l'epoca, di 74 anni, al termine di una vita sui campi di battaglia, e chi invece sostiene che fu ucciso per aver tradito, dopo anni di onorato servizio, la dinastia dei Da Carrara. Un'incognita che nulla toglie, anzi, aggiunge fascino a quella figura di condottiero senza macchia e senza paura che fu Bonifacio (o meglio Bonifazio) Lupi di Soragna. Uomo d'armi al servizio della signoria padovana nella seconda metà del Trecento, a lui si deve la committenza di due degli otto monumenti candidati come sito seriale a patrimonio dell'umanità dell'Unesco a Padova, dove è sepolto. E a lui sarà dedicata oggi alle 18, dal Club per l'Unesco di Padova, l'evento in diretta Zoom e Facebook Verso il Riconoscimento Unesco. Tra gli ospiti, il principe Diofebo VI Meli Lupi di Soragna (per tutti Febo), discendente di Bonifacio, che vive nella rocca fatta costruire 700 anni fa dall'antenato nella natia Soragna, in provincia di Parma. Settantuno anni, ufficiale alpino del 6. Reggimento Bassano-San Candido («ancora oggi non mi perdo un'adunata, come mio padre alpino anche lui»), consulente assicurativo e imprenditore agricolo, custodisce la memoria di una famiglia di condottieri, letterati, ambasciatori, proprietari terrieri che affonda le sue radici in età longobarda. «Non mi risultano invece cardinali, e forse neppure preti. Non che la famiglia non fosse devota alla chiesa, ma era anche piuttosto godereccia, dedita al potere e ai piaceri della vita».
LA STORIA
«Sappiamo che il mio prozio era un uomo severo ma molto generoso, tutto d'un pezzo e coraggioso, capace di passare attraverso le vicissitudini dell'epoca senza farsi piegare dagli eventi», racconta Febo Meli Lupi. Era anche un proto ambientalista. «Nelle sue terre del Veronese e del Bellunese non era permesso tagliare gli alberi del bosco, pena la prigione. Considerava le piante alla stregua degli esseri viventi».
Nato nel 1316 nel paese-roccaforte dell'Emilia Romagna, visse l'infanzia con il nonno, Guglielmo Rossi di San Secondo a Padova, dove le due famiglie - vicine di castello a Soragna - si erano rifugiate sotto la protezione dei da Carrara dopo l'esilio dal feudo deciso dai Visconti nel 1335. Per tutta la vita fu molto vicino all'imperatore Carlo IV di cui divenne anche consigliere e che accompagnò a Roma per l'incoronazione. Valoroso capitano di ventura, si trovò a combattere sui diversi fronti. «Ma sempre facendo dell'onore la sua bandiera - aggiunge Febo Meli Lupi di Soragna - Quando fu capitano generale di Firenze nella guerra contro Pisa, concesse agli avversari un armistizio che il suo esercito voleva violare perchè nel frattempo era crollata parte delle mura difensive della città aprendo una facile breccia. Glielo impedì, nel nome della parola data. Un episodio analogo avvenne quando guidava le truppe dei Carraresi contro Venezia: i padovani si stavano difendendo dall'assedio e, per una regola di battaglia, non volle che i suoi uomini attaccassero il nemico pur essendo favoriti anche in quel caso da un provvidenziale varco. Sfoderò la spada e disse: Fermi tutti. Obbedirono».
LA FAMIGLIA
I Lupi di Soragna, non solo Bonifacio, sono tra i protagonisti di un lungo sodalizio con i Da Carrara. Tanto che, in un'autocelebrazione della loro presenza a quella corte e del loro potere, in simbiosi con gli stessi Carraresi, hanno fatto erigere due monumenti-simbolo della Padova affrescata del Trecento, ora in attesa del verdetto per entrare a far parte del patrimonio dell'Umanità. É nel 1375 che Bonifacio decide che la sua ultima dimora sarebbe stata la città veneta, dove era diventato nel frattempo proprietario della villa alla Mandria di Abano Terme. Fa costruire così, all'interno della Basilica del Santo, la cappella di San Giacomo decorata da Altichiero da Zevio e da Jacopo Avanzi con una dettagliatissima vita del santo. Secondo gli studiosi, l'elemento di unione con il condottiero emiliano è la presenza negli affreschi della regina Lupa, considerata l'antenata della famiglia. Ma forse anche l'omaggio alla Confraternita dell'Ordine della Milizia di San Jacopo, della quale Bonifacio avrebbe fatto parte. Fatto sta che il ciclo affrescato è considerato oggi uno straordinario esempio di sintesi fra architettura e decorazione del periodo tardogotico. Altro capolavoro di Bonifacio da Soragna l'Oratorio di San Giorgio, nella piazza della Basilica del Santo, sempre opera di Altichiero da Zevio. Una giottesca Cappella degli Scrovegni in miniatura, iniziata da Raimondino Lupi come sepolcro di famiglia e poi conclusa dal cugino condottiero.
LA GENEROSITÁ
«Era un uomo di battaglia, un vero combattente - racconta ancora Febo Meli Lupi di Soragna - ma aveva anche un cuore grande e altruista. A Firenze fondò lo Spedale di San Giovanni Battista (oggi ospedale Bonifacio, attuale sede della questura fiorentina, ndr), fondò a Soragna un asilo per i poveri e i bisognosi. La famiglia poi, nel Quattrocento, sempre a Soragna, fece costruire una chiesa dedicata proprio a Sant'Antonio di Padova, al quale io stesso sono molto devoto. Ogni anno torno nella città veneta per esprimere la mia devozione». Una tradizione filantropica che non si è interrotta neppure in anni molto più recenti. La famiglia, oltre ad altre opere di bene, ha fondato negli anni Cinquanta anche un asilo per orfani. Ma cosa pensa Lupi di Soragna contemporaneo della candidatura del ciclo dell'Urbs Picta padovana? «La città di Padova si merita questo riconoscimento mille volte, ha una tradizione storica e artistica radicata e fortissima, di enorme valore, che va assolutamente riconosciuta».
IL MISTERO DELLA MORTE
Resta l'enigma sulla fine di questo condottiero. Ad avere una propria opinione è l'assessore padovano alla cultura Andrea Colasio, instancabile fautore della candidatura Unesco, ospite dell'incontro di oggi che vedrà anche la partecipazione del consulente Unesco del Comune Giorgio Andrian. Colasio è d'accordo con il discendente Febo. «Esistono le due versioni, ma propendo per la morte naturale - racconta, mentre sta scrivendo un libro sulla Padova Carrarese - La versione della morte violenta deriva dal fatto che Bonifacio nel 1388, quando i Visconti presero per due anni la signoria padovana, divenne vicario della dinastia milanese. Sarebbe così stato accusato di tradimento, ma avrebbe risposto: Come non ho mai tradito i Da Carrara, non tradisco i Visconti. I padovani lo avrebbero graziato». Ma il profondo segno in città di questo uomo d'armi è rimasto, come visto, anche nell'arte. «Al punto - chiosa Colasio - che Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il Vecchio da Carrara, fece edificare il mausoleo del Battistero del Duomo affrescato da Giusto de' Menabuoi come risposta alle tombe dei Soragna». Guerre combattute sul campo ma anche in quel mondo dell'arte che oggi aspira a un riconoscimento mondiale.
Maria Grazia Bocci
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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