«Cambridge Analytica, emblema della disinformazione»

Domenica 20 Settembre 2020
«Cambridge Analytica, emblema della disinformazione»
IL GENIO INFORMATICO
PORDENONE Social, controllo e manipolazione. Christopher Wylie ne sa qualcosa. Ha svelato lo scandalo della Cambridge Analytica, la società che riuscì a raccogliere e sfruttare i dati personali di milioni di utenti di Facebook, mettendoli a disposizione del team di Trump nella campagna elettorale del 2016. Il più grande informatore degli ultimi anni, ha incontrato ieri il pubblico di Pordenonelegge. Giovane e geniale, un degno rappresentante dei millenials, ha messo nero su bianco la sua esperienza nel libro edito da Longanesi: Il mercato del consenso. Come ho creato e poi distrutto Cambridge Analytica. «Ho iniziato a lavorare con Cambridge Analytica, dovevamo controllare per degli appaltatori militari l'atteggiamento dei radicali. L'azienda però fu poi rilevata da un milionario di destra che voleva usare i dati a fini politici». Ammette di essersi pentito prima della campagna politica di Trump, ma per quanto si sia rivolto a Obama, il suo staff non voleva interferire. Quindi ha messo al sicuro i dati, li ha trascritti e si è organizzato per rispondere a un'eventuale campagna complottista, cosa che puntualmente è avvenuta. «Mi sono certamente pentito di lavorare in questo modo. Una sorta di spot che andava molto di moda nei nostri ambienti era Move fast and break things (muoviti in fretta e spacca), ma mi sono reso conto che stavo spaccando la società, la stavo manipolando in modo dannoso». Grazie al fatto di aver denunciato la grande truffa, Wylie, oggi 31enne, è stato agevolato: «Quando ho deciso di fare questo passo ho ricevuto molte minacce, ma la polizia non mi ha lasciato solo, oltre al fatto che ho ricevuto ottimi suggerimenti e aiuti dai miei legali. Il fatto che abbia deciso di denunciare l'operazione alle forze dell'ordine mi ha sicuramente aiutato ad avere un trattamento privilegiato rispetto per esempio a Chelsea Manning». E poi lo scandalo, appunto. Ma non è bastato per Wylie, ha deciso di scriverne un libro: «L'ho fatto perché la questione meritava un approfondimento, anche nei particolari. I giornali e i telegiornali mondiali non potevano farlo». Tanto più giusto se pensiamo che una tale operazione, non investe solo gli ambiti politici: «La pandemia ha messo in luce il problema della disinformazione. Il fatto è che non vedo come questi tentativi di manipolazione possano essere eliminati. Anzi, dal mio punto di vista non possono che aumentare perché abbiamo a disposizione sempre più social, quindi più mezzi per compiere questi imbrogli». Il punto è che anche Facebook o altre piattaforme non se ne preoccupano: «A loro non conviene porci rimedio. In fondo abbiamo visto com'è andata, più che una multa non accade nulla, anzi dopo lo scandalo è aumentato lo share». Lo scandalo rivelato da Wylie ha travolto Facebook, WikiLeaks, l'intelligence russa, lo stesso Steve Bannon e innescato la più ampia indagine sulla criminalità informatica della storia, rivelando le profonde vulnerabilità della democrazia: «Non ci sono limiti. Ogni sistema tecnologico, sia informatico che no, si impone dei limiti, c'è una sorta di autodisciplina che contrasta i sempre più potenti modelli di manipolazione dell'intelligenza artificiale. Bisogna ideare un corpus di norme in tal senso», ha concluso «è questo il problema».
Mary B. Tolusso
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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