«Se non mi dai i soldi ti strappo il cuore»

Martedì 22 Settembre 2020
«Se non mi dai i soldi ti strappo il cuore»
MAFIA
PADOVA «Ti rompo le gambe», «Ti strappo il cuore». Erano queste le minacce utilizzate da Antonio Mangone per riscuotere dai debitori i soldi della ndrangheta. Lo ha testimoniato, ieri nell'aula della Corte d'Assise, il piccolo imprenditore di Noventa Vicentina Ercole Mazzetto, finito anche lui nella morsa della malavita organizzata. È proseguito ieri infatti il processo al clan dei Bolognino. Il dibattimento si celebra a Padova, perchè dopo una serie di questioni preliminari in aula bunker a Mestre, su volontà della pubblica accusa i giudici hanno ritenuto che il primo reato della cosca mafiosa sia stato compiuto in provincia di Padova. Di fatto a Padova restano i reati di associazione mafiosa, a Venezia invece vengono trasferiti quelli di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio e alle false fatture.
IL TESTIMONE
Ercole Mazzetto, chiamato a testimoniare dal pubblico ministero Paola Tonini della direzione distrettuale antimafia di Venezia, ha portato alla luce tutta la violenza della cosca Grande Aracri in Veneto. Mazzetto, in più di una occasione dal 2013 è stato costretto a frequentare Mangone. In alcune circostanze gli ha fatto anche da autista e lo ha sentito minacciare i debitori. «Un giorno - ha raccontato - siamo andati nelle Marche fino ad Ancona. Qui Mangone ha incontrato un uomo e gli ha detto se non paghi ti strappo le gambe. Quella volta è riuscito a riscuotere 34 mila euro». E poi l'imprenditore vicentino lo ha ascoltato altre volte al telefono mentre minacciava i debitori: «Usava frasi come ti strappo il cuore, ti stupro la moglie e la figlia, e ti cavo gli occhi. So che girava con un coltello dalla lama lunga almeno 40 centimetri. Lo chiamava spadino e lo teneva nascosto sotto il sedile della sua Audi. Non solo un coltello, ma un simbolo del potere delle cosche. Si tramanda di generazione in generazione». E poi Mazzetto ha raccontato anche come Mangone teneva in pugno le sue vittime. «Se non avevano soldi - ha proseguito - chiedeva ai debitori orologi e gioielli come ipoteca. Una volta si è fatto consegnare anche dei quadri. Opere che avevo visto anche io molto tempo prima. Tele con dipinte delle madonne con il bambino e del valore di circa 50 mila euro».
L'ALTRO TESTIMONE
Ieri ha testimoniato in aula anche la 34enne ex compagna veneziana di Leonardo Lovo, l'imprenditore di Campagna Lupia di 47 anni pure lui testimone nella precedente udienza. La donna ha ricordato come Lovo fosse pressato da Mangone, sempre pronto a chiedergli soldi. Lovo, insieme a Semenzato e al padovano di Piove di Sacco Biason formano il terzetto di uomini d'affari che, secondo la procura lagunare, costituisce lo snodo locale dell'associazione criminale calabrese che, grazie a questi imprenditori veneti, in apparenza per bene, è riuscita a stringere i suoi tentacoli sul tessuto socio economico veneto. È il fenomeno dei presunti onesti che per paura, convenienza, potere, oppure soltanto per i schei si sono venduti ai boss, diventando loro complici: il più preoccupante emerso in tutte le recenti inchieste sulla criminalità organizzata a Nordest.
PROSSIMA UDIENZA
Si torna in aula il prossimo 2 ottobre, quando verrà sentito Michele Bolognino. Gli altri imputati, oltre ad Antonio Mangone e Sergio Bolognino, sono Francesco Agostino, Antonio Carvelli di Crotone, Luca De Zanetti di Vigonza, Antonio Gnesotto di Treviso, Emanuel Levorato di Vigonza e Stefano Marzano di Locri.
Marco Aldighieri
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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