IL CASO
VERONA Si è fidata del padre che l'aveva già minacciata. E

Venerdì 18 Maggio 2018
IL CASO
VERONA Si è fidata del padre che l'aveva già minacciata. E per questo a gennaio ha lasciato la casa protetta dove era stata accolta dal Comune di Verona. È una bruttissima storia quella della 19enne pakistana costretta ad abortire dalla famiglia che con l'inganno l'ha fatta tornare in patria, dove ora è tenuta segregata da padre, madre, sorella e fratello.
LA FARNESINA
A ricostruire la vicenda della giovane è stato ieri a Verona l'assessore al sociale del Comune, il senatore di Fratelli d'Italia, Stefano Bertacco, che ha subito chiarito: «Ho interpellato già questa mattina la Farnesina perché si attivi verso le autorità del Pakistan. Temiamo per quella ragazza dopo la tremenda vicenda di alcuni giorni fa della giovane bresciana, la 25enne Sana di origine pakistana, uccisa dal padre perché voleva sposare un italiano. Abbiamo però un problema: la ragazza è arrivata e viveva a Verona dal 2008, ma è ancora oggi cittadina pakistana». Da quanto si è capito, la giovane era già stata fatta oggetto di minacce e violenze da parte del padre nel 2017, probabilmente perché il genitore non condivideva il suo amore per un giovane pakistano che abita a Verona come lei. E sarebbe stato proprio il ragazzo a rivolgersi alla Squadra Mobile della Questura veronese perché la giovane già nel 2017 per alcune settimane era stata segregata in casa.
I SERVIZI SOCIALI
«Dal settembre 2017 - ha spiegato l'assessore Bertacco - la ragazza, allora 18enne, era già in carico ai nostri servizi sociali ed era stata accolta in una struttura protetta in seguito all'intervento della Squadra mobile che aveva ricevuto la segnalazione che era tenuta in casa contro la sua volontà. E ci risulta anche che il padre avesse già subito delle denunce per violenza in famiglia. Dopo otto giorni - ha proseguito l'assessore - la ragazza ha aderito al Progetto Petra, la struttura che si occupa delle violenze sulle donne, in particolare tra le mura familiari, ed è stata ospitata in un appartamento protetto fino al 9 gennaio, quando ha comunicato che si era riconciliata con la famiglia e le è stata concessa, essendo maggiorenne, la libertà di tornare a casa dai genitori».
LA SCOMPARSA
Il problema è che da allora nessuno l'ha più vista né sentita. Fino a quel terribile messaggio inviato l'altro giorno per whatsapp al fidanzato e a dei compagni di scuola, l'istituto superiore Sanmicheli di Verona dove frequenta l'ultimo anno: «Sono in Pakistan. Mi hanno sedata e legata ad un letto e con una puntura hanno ucciso il mio bambino». Immediatamente, i ragazzi hanno allertato la Squadra Mobile che a sua volta ha iniziato le ricerche della giovane e della sua famiglia, informando nel contempo le autorità nazionali. Ma della famiglia, che gestiva un negozio a Verona, non c'è traccia. «Sappiamo che la giovane aveva anche chiesto di continuare a partecipare agli incontri di mutuo-aiuto organizzati dal Centro Petra con le donne vittime di violenze in famiglia continua Bertacco - ma non si è mai presentata alle riunioni. Ad un nostro assistente sociale aveva comunicato che sarebbe andata in Pakistan per il matrimonio del fratello, ma probabilmente è stata una scusa per farla allontanare da Verona. In seguito al Centro Petra si è presentato il fidanzato allarmato perché è da febbraio che non la vedeva. Infine, è arrivato quel drammatico messaggio dal Pakistan ed è scattato l'allarme». «Siamo pronti ad accogliere nuovamente la giovane in una delle nostre strutture protette - ha concluso il senatore Bertacco -. Ma sembra che non c'è sia nessuna volontà da parte della famiglia di lasciare libera la ragazza alla quale, da quanto ci è stato riferito dal fidanzato, sono stati sottratti i documenti ed è costantemente sorvegliata dalla madre e dalla sorella».
Massimo Rossignati
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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