I numeri (e gli stranieri) promuovono la Mostra

Lunedì 8 Settembre 2014
I numeri (e gli stranieri) promuovono la Mostra
La Biennale di Venezia manda in archivio la 71. edizione della Mostra del cinema con un bilancio più che soddisfacente. I "numeretti" li mette in fila il presidente Paolo Baratta: festival in linea, per numero di accreditati e incassi, con l'anno precedente, alla faccia di chi sostiene che al Lido quest'anno ci sia stato un mortorio. O, meglio, sicuramente è mancato il contorno, ma al cinema gli spettatori non sono mancati. Dunque, ecco i "numeretti": nel 2013 gli accreditati alla Mostra di Venezia erano stati 7.300, quest'anno tali sono rimasti: 7.300. Gli incassi totali l'anno scorso sono stati pari a un milione e 300mila euro, idem quest'anno: 1,3 milioni (la Mostra complessivamente costa 12 milioni). Se proprio si vuole cercare un calo, c'è stato nel numero delle proiezioni, da 120 a 104, con la motivazione che non è stata ripetuta la proiezione mattutina in Sala Grande. Ma i "sederi seduti" (copyright Baratta, neologismo coniato per questo nuovo coefficiente di misurazione) sono aumentati: da 126.800 a 128.000. Ossia: gli spettatori sono aumentati, magari erano sempre gli stessi accreditati, ma sono andati a vedersi più film. Notevoli anche i "seduti virtuali"', quelli che hanno visto i film (alcuni, non tutti) in streaming: 2.300.
Insomma, alla faccia delle «sensazioni» (Alberto Barbera, direttore della Mostra del cinema, le ha bollate così) di un «mortorio», Venezia71 è andata bene. Benissimo se si considera il binomio Sala Darsena e sezione Orizzonti. Dopodiché inutile chiedere a Barbera cosa pensa del verdetto della giuria, inutile chiedergli se i film italiani sono stati penalizzati, inutile domandargli chi avrebbe premiato lui: qualsiasi domanda inerente il pronunciamento dei giurati è respinta al mittente. «I verdetti delle giurie si accettano, non si discutono». Quello della giuria presieduta dal compositore francese Alexandre Desplat «non è stato un verdetto deciso col manuale Cencelli, è stato il frutto di scelte e decisioni prese a maggioranza», ha aggiunto Barbera. Che ha tagliato corto: «Il direttore della Mostra non commenta le decisioni della giuria, se dicessi che mi hanno soddisfatto vorrebbe dire che non mi piacevano i film non premiati e viceversa». Quindi, capitolo chiuso. Insistere sostenendo che c'erano poche alternative a una Coppa Volpi ad Alba Rohrwacher perché le interpretazioni femminili quest'anno erano ridotte al lumicino, mentre per la Colpa Volpi maschile forse molti si aspettavano il leopardiano Elio Germano al posto dell'americano Adam Driver (per inciso, una doppia Coppa Volpi allo stesso film c'era già stata nel 2001 con "Luce dei miei occhi" a Luigi Lo Cascio e Sandra Ceccarelli) è fiato sprecato: Barbera non intende commentare quel che hanno deciso Desplat e compagnia. E guai a contestare il suo "vademecum del buon giurato" che imponeva il silenzio stampa anche dopo la premiazione: «Non è giusto che un giurato si metta a raccontare i retroscena».
Insomma, sono i giornalisti italiani a cercare sempre il pelo nell'uovo. Vuoi mettere gli inviati dei media stranieri? Per "The Hollywood Reporter", Scott Roxborough ha scritto: "Se Toronto è diventato un supermarket globale, Venezia è la boutique esclusiva del cinema". E Screen International è arrivato a elogiare tutto: la Mostra, i film, perfino il Lido. Testuale: "Venezia è un festival straordinariamente piacevole da visitare, a prescindere da chi tu sia. Il numero di film in programma è giusto, così il ritmo del festival è adeguato e non frenetico. È pieno di buoni ristoranti e bar...".
E pensare che gli accreditati italiani si lamentavano di tutto. Soprattutto del cibo.
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