Ubi, faro della Bce sul nuovo piano Prime crepe nel muro dei no all'Ops

Domenica 5 Luglio 2020
IL RISIKO
ROMA Si aprono crepe nel muro dei «no» all'Ops su Ubi Banca che i soci storici dell'istituto bergamasco avevano eretto contro la proposta annunciata da Intesa Sanpaolo. E in contemporanea la Bce ha acceso un faro sul nuovo piano di Ubi per cercare di capire il senso di obiettivi apparentemente contraddittori, mentre il sindacato scende sul piede di guerra sugli esuberi. Probabilmente non era ciò cui aspiravano i vertici dell'istituto dopo i proclami sulla bocciatura.
LE GRANDI FAMIGLIE
Quanto alle crepe, quasi due mesi fa Giuseppe Lucchini, erede di una delle grandi famiglie bresciane e socio storico della Banca Lombarda che aveva contribuito alla nascita di Ubi, si era sfilato dal patto bresciano, contrario all'Ops con il suo 8,7%, approfittando di una finestra concordata. Apparentemente il suo gesto non aveva avuto grande seguito, fino a quando giovedì scorso, vigilia del voto del cda di Ubi sull'Ops, una dichiarazione di Aldo Poli, presidente della Fondazione del Monte di Lombardia (socio di rilievo dell'istituto bergamasco con il 4,9%), non aveva allargato quella piccola crepa. In una intervista, Poli aveva infatti annunciato l'intenzione di valutare, su mandato del cda della Fondazione, l'offerta di Intesa Sp «senza pregiudizi e nell'interesse del territorio e della valorizzazione dei nostri investimenti». Aveva inoltre lasciato intendere che un ritocco dell'offerta avrebbe indotto a rivedere le rigidità iniziali.
Una posizione decisamente non allineata con quanto nelle stesse ore veniva fatto trapelare dal cda Ubi, dove si stava preparando la netta bocciatura che di lì a poco sarebbe stata comunicata al mercato. Ma quella di Poli non era l'unica sorpresa dietro l'angolo: mentre venerdì 3 il vertice di Ubi approvava l'aggiornamento del piano industriale che avrebbe supportato la bocciatura dell'offerta, al Comitato azionisti di riferimento del Car - il patto di consultazione che raccoglie il 18,8% del capitale di Ubi cui tra gli altri partecipa con il 4,9% la Fondazione Lombardia guidata da Poli - veniva recapitata la lettera di dimissioni dal Comitato di presidenza dell'avvocato Mario Cera.
I TESORI NASCOSTI
Docente di diritto commerciale all'Università di Pavia, Cera è considerato tra i personaggi più influenti nell'ambito dell'azionariato Ubi e di Cattolica che del Car fa parte. Difficile che le sue dimissioni, motivate ufficialmente con ragioni personali, non vengano interpretate come un segnale diretto alle altre personalità del patto.
L'attesa ora è per il giudizio sull'offerta che a metà settimana Société Generale, l'advisor incaricato di valutare l'offerta dalla Fondazione del Monte e dalla Fondazione Cuneo (cui fa capo il 5,9% di Ubi, anch'esso apportato al Car dove negli ultimi giorni sta vacillando la leadership del presidente Gianni Genta, messo alle strette dal Comune della città Granda e altri soggetti come Beretta, Bombassei, Bosatelli, Radici sono alla finestra), ha promesso di fornire: ove tale giudizio fosse di apertura, probabilmente la crepa diverrebbe ampia e ufficiale. Domani si riuniscono le fondazioni e potrebbero esserci novità.
Ma, come detto, ci sono altri due fronti che si aprono davanti a Ubi. Da fonti autorevoli si apprende che hanno destato sorpresa nella Bce i nuovi obiettivi al 2022 del piano industriale annunciato dall'ad Victor Massiah (da adottare se fallisse l'Ops), soprattutto in relazione a 840 milioni di dividendi a fronte di un utile ridotto dal piano del 17 febbraio di 103 milioni (da 665 a 562 milioni). Un piano così performante non si era mai visto dalle parti di Brescia e Bergamo, e con livelli di remunerazione del capitale così significativi da aver dovuto ricorrere, per giustificarli, alla suggestione dei «tesori nascosti» nei bilanci del gruppo.
POSIZIONE NON NEGOZIABILE
La sorpresa degli uomini di Francoforte si spiega facilmente: per essere credibili in termini di rispetto dei ratios di solvibilità, le banche devono concordare con la Bce i piani industriali, ed evidentemente di quello rivisto da Ubi nessuno sapeva. È perciò presumibile una verifica a stretto giro tra il vertice della banca bergamasca e gli uomini della Vigilanza di Francoforte per meglio individuare le fonti di un contributo aggiuntivo così importante.
Infine la questione occupazionale su cui ieri sera è nata una polemica tra i portavoce di Intesa e di Ubi a proposito del rapporto uscite-nuovi assunti. Il leader Fabi, Lando Sileoni ha scoperto dal piano revised che la banca dovrà mandare a casa 2 mila dipendenti, al netto di mille assunzioni. «Significa che ci saranno - scrivono i vertici del più importante sindacato del settore - non meno di 3 mila fuoriuscite e mille assunzioni con un rapporto di uno a tre. La nostra posizione sull'argomento è chiara da sempre e la ribadiamo: il rapporto deve essere di uno a due, cioè un'assunzione ogni due uscite volontarie». Un messaggio esplicito che la posizione enunciata non sembra destinata a diventare negoziale. Intanto il cda di Intesa Sp fissato per martedì 7, è stato rinviato al 9, mentre l'ops parte domani.
Rosario Dimito
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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