Stadio della Roma, Lanzalone ai pm «Così ho corretto il progetto iniziale»

Giovedì 21 Giugno 2018
Stadio della Roma, Lanzalone ai pm «Così ho corretto il progetto iniziale»
LE CARTE
ROMA Non era solo il rapporto forte con il sindaco Virginia Raggi e con i vertici nazionali dei Cinque stelle a rendere l'avvocato Luca Lanzalone imbattibile quando si parlava degli affari della Capitale. Stando alla versione integrale del suo interrogatorio di garanzia - ora depositato agli atti dell'inchiesta che lo vede indagato per corruzione in relazione alla costruzione dello stadio della Roma - a chiedergli continuamente consigli «al bar», davanti a un caffè era il nuovo assessore all'urbanistica, Luca Montuori. All'avvocato civilista, il sostituto del tecnico ambientalista Paolo Berdini, dimessosi proprio per lo scontro sullo stadio, affida il compito di rivedere la delibera finale, elaborata nel corso delle riunioni riservatissime che si tenevano tra la stanza del vicesindaco e l'assessorato.
E lo coinvolge in altre due partite del futuro urbanistico della città: il progetto di costruzione di un palazzetto per il basket nell'area della vecchia Fiera di Roma e la «valorizzazione» degli ex Mercati generali. Anche in questo caso, a Lanzalone va il compito di scrivere gli atti tecnici.
È il documento che dà il via libera allo stadio, a portare la firma di fatto dell'ex presidente di Acea, che però sostiene di aver avuto un ruolo di semplice consigliere.
LA DELIBERA
Alle prime riunioni, dice, c'era anche Berdini che lo «ringraziò». Quindi, Lanzalone si premura di organizzare una riunione fuori Roma per chiudere l'accordo: «Discussi direttamente con i rappresentanti dei fondi americani che partecipavano, li ho incontrati a Firenze, discutemmo quell'eventuale soluzione, questa soluzione risultò gradita agli investitori». E, infine, scrive la delibera: «L'assessore, che nel frattempo era diventato Montuori, ci mandò la bozza di questo delibera, se potevamo darci un'occhiata, le ripeto, non l'ho fatta io, l'ha fatta il mio studio, ma penso che qualche indicazione l'abbia fornita», spiega al giudice. Quando però il gip gli chiede se fosse il suo studio legale ad avere contatti con il Campidoglio, è costretto a spiegare: «Fui io, se ricordo bene, che gli girai la bozza, dicendo dacci un'occhiata e guarda se c'è qualcosa che va corretto, da allora non ho più chiesto dello stadio, chiedevo solo per curiosità».
Il collega di studio, Stefano Sonzogni, era ben cosciente del potere che avevano acquisito: «Noi proprio perché siamo funzionali a raggiungere il risultato possiamo chiedere quello che vogliamo». È un'intercettazione usata dal gip nel corso dell'interrogatorio per chiedere a Lanzalone dei rapporti sviluppati col costruttore Luca Parnasi. L'ex presidente di Acea non può non ammettere che i clienti lo considerassero «uno dei Cinque stelle»: «Sicuramente sì, presumo di sì - dice - credo che nelle varie componenti di valutazione ci si a anche quella». E: «Non è la prima volta che si valorizzano le maggiori sensibilità in una certa area politica».
L'ASSESSORE ALL'URBANISTICA
Con Montuori e con il vicesindaco Bergamo, aggiunge, il rapporto era diventato stretto, «personale»: «Al bar mi facevano una marea di richieste, sulle quali dicevo la mia». Il titolare dell'Urbanistica lo coinvolge non solo sullo stadio, ma su tutti i principali progetti urbanistici del futuro di Roma. Quello degli ex magazzini generali ad esempio: «Una volta Montuori mi disse una cosa che non c'entra niente con Parnasi, mi pare dei magazzini generali... Gli diedi questa indicazione, fece la delibera in quel senso lì e la questione si risolse... si chiuse l'iter amministrativo dopo 11 anni». Stesso discorso per il progetto del palazzetto del basket nella ex Fiera di Roma, di cui Parnasi lo aveva incaricato di occuparsi: «Montuori, una volta, prendendo un caffè, mi aveva posto il problema della fiera, per quello quando Parnasi mi disse così dico: Parlagliene». La versione di Lanzalone è che queste siano per lo più scocciature.
Nell'unica consulenza pagata, Parnasi si sarebbe limitato ad una «captatio benevolentiae»: «Ricevevo un paio di telefonate al mese o da lui o da Baldissoni, soprattutto, che mi diceva: Sollecita, non ci fanno le cose, non ci parlano e io la maggior parte delle volte il massimo che facevo, era di fare un WhatsApp».
Michela Allegri
Sara Menafra
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