L'appello del procuratore: «Chiedere giustizia non sia la ricerca di capri espiatori»

Giovedì 15 Agosto 2019
L'appello del procuratore: «Chiedere giustizia non sia la ricerca di capri espiatori»
L'INCHIESTA
GENOVA Il capo della procura Francesco Cozzi è appena tornato dalla commemorazione per le vittime del ponte Morandi. L'emozione è tanta, ma è con la lucidità da magistrato che parla. «A distanza di un anno, oggi avremmo preferito stare in silenzio, nel rispetto della sofferenza ancora cocente. Perché se è vero che il tempo lenisce le ferite, certe voragini non si rimarginano mai». E proprio nel rispetto della memoria, oltre che nella richiesta di giustizia che si solleva, «credo sia corretto dire due cose: la domanda di giustizia non è un ricerca di capri espiatori o di facili soluzioni da offrire in pasto per risolvere in modo disinvolto questioni complesse». Al contrario è «rigorosa risposta a una esigenza di accertamento della verità. Ed è ciò che abbiamo fatto in quest'ultimo anno, cercando in modo determinato di svolgere un'indagine accurata. Abbiamo voluto dare una risposta in termini di diligenza, precisione e serietà».
PERIZIE A CONFRONTO
In un'inchiesta come questa, con una mastodontica quantità di elementi inseriti nel sistema informatico - dalle analisi tecniche ai video, dalle testimonianze ai test sui materiali - da incrociare con le posizioni dei singoli indagati nei rispettivi settori di competenza, precisione e rigore sono fondamentali. «Qui non si tratta di stabilire la dinamica di un omicidio mediante la traiettoria dei proiettili - spiega Cozzi - ma di un evento umanamente tragico che ha anche un interesse economico imponente. Di questo siamo rispettosi, non entriamo mai in polemica con chicchessia, a qualsiasi livello. Non vorrei però che questa riservatezza fosse fraintesa con mancanza di ferrea volontà di arrivare alla verità». Che, sottolinea, parte da una domanda a cui si deve dare una risposta. «Quella struttura era, alla luce del suo stato di salute, ancora idonea a rimanere aperta senza alcuna limitazione?», è il cruccio del procuratore capo. Ovvero: il Morandi era ancora in grado di sopportare 25 milioni di veicoli all'anno? «In giudizio si confronteranno tesi e perizie di primaria qualità e calcoli complessi, ma prima di tutto va accertato questo. In italia la maggior parte delle infrastrutture è in calcestruzzo, non durano all'infinito e sono sottoposte a usura e sollecitazioni da traffico. Sul viadotto di Genova, quando è stato costruito, passavano cinquemila veicoli al giorno e carichi eccezionali con 20 mila tonnellate, ora sono 80-90 tonnellate». Anche il procuratore, per andare al lavoro, imboccava quel ponte: «Tutti siamo stati in coda sul Morandi, se un anno fa non ci fosse stato un nubifragio e il traffico ridotto del 14 agosto ci sarebbe stata un chilometro di coda, e oggi non piangeremmo 43 vittime ma un disastro immane».
Sui tempi e sui ritmi dell'indagine, afferma Cozzi, «non possiamo permetterci passi falsi, ne sul piano di indagine né procedurale». Il lavoro degli investigatori è «a metà del guado, questo significa che verosimilmente entro i primi mesi del 2020 verranno chiuse le indagini e che attorno a maggio, ragionando per ipotesi, potrebbero esserci le richieste di rinvio a giudizio, qualora si ravvisassero responsabilità».
I 39 QUESITI
Un primo incidente probatorio è servito a cristallizzare lo stato di salute del ponte, il secondo, che si concluderà ai primi di dicembre, è composto da 39 quesiti e dovrà stabilire le cause del crollo. «Non è un tempo inutile, non è un ritardo, perché economizza e anticipa un accertamento giudiziario della verità, una prova che dovrebbe essere discussa in giudizio con sospensione del dibattimento. Economizza i tempi del processo, non li allunga».
C.Gu.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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