Erasmus, vita notturna e proteste il nuovo volto delle società dell'Est

Domenica 10 Novembre 2019
IL FOCUS
«Non possiamo uscire da una Comunità per entrare in un'altra che ci dà semplicemente degli ordini e noi eseguiamo». Ecco quanto ci siamo sentiti ripetere per anni, girando in lungo e in largo per l'Europa centrale, ogni qual volta i membri fondatori Ue hanno trovato porte chiuse su materie come ad esempio migrazione e cessione di maggiori poteri al Centro.
FERITE PROFONDE
L'allargamento del primo maggio 2004 ad Est ha cambiato il volto del Vecchio continente ed è servita a curare le profonde ferite provocate dall'abbandono nel 1945 di questi Paesi nelle grinfie di Stalin. I copiosi fondi strutturali comunitari hanno letteralmente trasformato la Polonia che ha ottenuto dal 2007 quasi il 2% del suo Pil. Autostrade, aeroporti, infrastrutture in genere sono state costruite ovunque. Sono state poste le fondamenta di economie capitaliste moderne, facendole uscire dalla crisi post caduta Muro di Berlino. Il minor costo della forza lavoro, qualificata ed istruita, ha spesso permesso di trasformare queste realtà in officine e laboratori di primo livello di importanti società continentali. Il modo di pensare della gente è chiaramente mutato: finalmente si possono ora realizzare i propri sogni anche se il loro costo a volte è esorbitante. Pensiamo ai milioni di abitanti del Visegrad (Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria) o del Baltico che sono stati costretti ad emigrare in Gran Bretagna, in Germania ed in Francia alla ricerca di un futuro migliore. In Patria però, sebbene con qualche intoppo, la qualità della vita è buona, lo Stato di diritto regge e le istituzioni democratiche tengono nonostante in Polonia ed in Ungheria la popolazione abbia dato ampi consensi a partiti euroscettici, definiti dalle opposizioni locali «liberticidi».
I PROGRAMMI
Kaczynsky ed Orban si sono soprattutto imposti per i loro generosi programmi di aiuti sociali agli esclusi dei boom e per aver risposto alla paura della popolazione di beccare un'altra fregatura questa volta con l'Europa, come già avvenuto in passato con altri poteri - considerati esterni e stranieri, in ultimo quello sovietico. «Siamo noi ad aver pagato il prezzo più alto dell'occupazione russa». Adesso si è liberi, si può viaggiare, si vive in società democratiche. Se si è arrabbiati si esce in piazza a protestare senza il rischio di essere bastonati. I giovani di Varsavia, Praga, Bratislava o Budapest non sono per nulla diversi dai loro coetanei di altre città continentali. Sono loro il miglior prodotto, se si può usare questo termine, dell'Europa unita, la generazione Erasmus. Semmai sono le generazioni di mezzo, quelle che sono sopravvissute al comunismo, ad avere dei problemi: sono state costrette a vivere in un sistema diverso (da quello in cui si erano formate) nel quale nulla è più garantito ed il pane tocca sudarselo veramente. Le pensioni da fame portano rancore e ci si aggrappa a ciò che capita. Ma quanto sono cambiati i costumi! Se, ad esempio, fino alla fine degli anni Novanta Varsavia era desolante nei week-end, oggi è una delle capitali della vita notturna europea. Discorsi analoghi si possono fare anche per Praga e per Budapest. Sono le campagne, piuttosto, a sentirsi lontane da queste realtà. L'essere capaci di rassicurarle e di costruire ponti tra le città e le province è il segreto dei futuri successi.
Giuseppe D'Amato
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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