BpVi, pronte le richieste di condanna. Zonin: «Mai saputo delle baciate, ho perso 25 milioni, non c'entro»

Martedì 20 Settembre 2022 di Maurizio Crema
Gianni Zonin
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Processo d'appello per il crac di Popolare Vicenza: il pm della Procura generale di Venezia Alessandro Severi chiede la conferma delle condanne per Paolo Marin e Andrea Piazzetta, ex vice direttori generali dell'istituto, mentre l'ex presidente Gianni Zonin si è detto ancora una volta «estraneo» ai fatti contestati che l'hanno portato alla condanna in primo grado a 6 anni e mezzo. Chiesta anche la conferma delle confische a Popolare Vicenza.


«Sono stato l'unico a non intervenire in questa fase - ha dichiarato Zonin ieri in aula bunker a Mestre - non certo per disinteresse rispetto a una vicenda che ha segnato indelebilmente la mia vita e quella dei miei familiari.

Fra pochi mesi compirò 85 anni e non sono più in grado di ripercorrere con precisione e completezza vicende ormai risalenti a una decina di anni fa. Devo quindi rinviare a quanto già dichiarato nei tre interrogatori e nel corso del processo di primo grado. Desidero solo ribadire che, in tutti gli anni in cui sono stato presidente di Popolare Vicenza, la mia strategia è stata quella di far crescere l'istituto» facendolo diventare «un mezzo per tutelare il risparmio di tantissimi soci della banca. Per molteplici ragioni questo impegno non è stato coronato di successo». Nel crac sono stati bruciati miliardi di risparmi di oltre 100mila soci. L'ex presidente ribadisce «che ho sempre operato con correttezza e in conformità a quanto previsto dalla legge e dalla normativa. Fino alla primavera del 2015 ero profondamente convinto della solidità patrimoniale dell'istituto. Se avessi avuto anche la minima percezione del fenomeno del capitale finanziato sicuramente non avrei continuato a investire somme importanti - quasi 25 milioni - nelle azioni BpVi. E non ho mai venduto un'azione». Zonin ha ricordato: «Non ho mai subito una condanna penale. Confido che la Corte d'Appello di Venezia possa riconoscere, finalmente, la mia estraneità ai fatti a me addebitati».


La requisitoria nei confronti di Marin - condannato in primo grado a 6 anni come Piazzetta - si è incentrata sulle sue azioni da responsabile della divisione crediti di BpVi e vice direttore generale. Marin e la sua difesa hanno sostenuto che il fenomeno delle baciate (finanziamenti ai soci per comprare azioni di BpVi, operazione che dava un'idea di solidità che la banca non aveva) fosse stato messo a conoscenza della Banca d'Italia fin dall'ispezione del 2012 e che questi non avessero avuto nulla da ridire. La pubblica accusa sposa la tesi del Tribunale di primo grado e «ritiene più credibile la testimonianza dell'ispettore della Banca d'Italia Gennaro Sansone». Il funzionario ha sempre sostenuto che l'ispezione mirava a verificare il merito dei crediti e non la presenza di baciate. «È vero che Sansone anche nelle sue dichiarazioni nel corso del processo a Sorato ha dimostrato incertezze reiterate - ha ricordato Severi citando il dibattimento a Vicenza per gli stessi reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto che coinvolge l'ex direttore generale di BpVi - ma Sansone è stato ingiustamente definito inattendibile». Secondo il pm dunque Banca d'Italia non sarebbe corresponsabile del default, accusa che spesso è stata fatta alla Vigilanza in questi anni. «Vero è che Sansone ha palesato incertezze e contraddizioni», ma era finito «nell'occhio del ciclone» dopo il crac. E non è vero che quell'ispezione del 2012 fosse andata liscia per BpVi: «Banca d'Italia ha dato un giudizio negativo per 400 milioni di crediti concessi cassando le metodologie di analisi della Popolare e chiedendo di cambiarle», sottolinea Severi. La conferma indiretta di questo lavorio di mimetizzazione l'ha data «nella sua confessione Giustini proprio in questo processo quando ci dice chiaramente che l'ordine dato da Sorato e dal board era di tenere occultata» questa prassi consolidata in banca fin dal 2007 e sempre nascosta anche nelle mail che avevano sempre un oggetto generico. «Il board della banca e anche Marin erano perfettamente a conoscenza di questa pratica», sottolinea Severi. E anche il fatto che Marin fosse stato mandato in Sicilia non era altro che una promozione con aumento di stipendio, altro che demansionamento. In più Marin «non ha mai ammesso le sue responsabilità né ha fatto atto di resipiscenza»: «quantificheremo la richiesta finale di condanna in ragione della parziale prescrizione al reato di aggiotaggio e della prescrizione del falso in prospetto».


Questo potrebbe tradursi di uno sconto di pena richiesta di 10 mesi. Lo stesso sconto chiesto anche per Andrea Piazzetta, il manager delle operazioni internazionali con i fondi stranieri tipo Athena, Optimum e altri, finanziati con centinaia di milioni dalla Bpvi spesso per comprare azioni della banca e tener buoni i soci. Operazioni che transitavano anche dall'irlandese BpVi Finance. Piazzetta ha sempre detto che eseguiva ordini di Sorato o si trovava di fronte al fatto compiuto da altri. «Spiegazione non convincenti», ricorda il pm nella sua requisitoria. Anche perché in banca c'era solo lui e un altro manager che avessero le capacità tecniche e relazionali per gestire queste operazioni di cui anche Sorato pare capisse poco. E qua Severi fa un appunto: «Anche Zonin, che dirigeva il cda in modo particolarmente autorevole, non si peritò mai di chiedere l'utilizzo di questi finanziamenti fatto dai fondi stranieri», come faceva in altri casi. Infine il capitolo sulle responsabilità di una banca dove gli organi di controllo interni non funzionavano, a partire dal collegio sindacale che vedeva in carica sindaci inseriti anche in società di Zonin.

Ultimo aggiornamento: 17:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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