VENEZIA - Una comunità che muore, una città che muore.
Drammatico e malinconico per ogni vero veneziano leggere gli "annunci funebri", ben 4 su due pagine, di oggi sul Gazzettino.
Sono gli annunci di quattro storici negozi di Venezia, in diverse zone cittadine, uno al Lido, costretti a chiudere.
Un mix che non dà scampo a questa città che cerca disperatamente di sopravvivere all’assedio dei trolley e delle mascherine da quattro soldi. Affitti da strozzini, esodo ormai senza freno verso qualsiasi terraferma, crisi dei consumi e cambi generazionali che saltano e non regalano neppure l’overtime alla continuità d’impresa.
I veneziani sono abituati a questa strage dei loro riferimenti commerciali, ma certamente assistere a una Caporetto come quella annunciata non fa solo male. Apre voragini nelle già non più granitiche determinazioni su una vita tutta veneziana. Suscita domande sul futuro anche prossimo della città e della mancanza di risposte, peraltro ormai temo comunque insufficienti a farci vivere. C’è solo la sopravvivenza.
Ma Venezia e i veneziani meritano ben più di una mera sopravvivenza; ben più che essere comparse in uno sfondo da Disneyland come cantava provocatoriamente anni fa Skardy dei Pitura Freska.
Ma sono domande che dobbiamo rivolgere anche a noi stessi, veneziani, semplici cittadini, imprese, commercio, classe dirigente e classe dirigente mancata. Dove abbiamo fallito.
Abbiamo scoperto che l’onda lunga del turismo di massa, elevato a totem economico della città, ci ha travolto come uno tsunami. Ed è troppo tardi per salvarci.
Resistono piccole nicchie di sestiere che quasi cercano di nascondersi per non diventare complici di famelici selfie. E noi veneziani anche per andare al mercato di Rialto scegliamo le callette più sconosciute e buie non perchè vogliamo fare presto, ma perchè ci sono rimaste solo quelle.
Chiudono grandi empori dell’abbigliamento e dello sport, chiudono gli ultimi alimentaristi, chiudono negozi che hanno fatto la felicità di generazioni di bambini, chiudono le agenzie di viaggio.
Ma non è che il più recente bollettino di una disfatta. Una rotta già passata per gloriose librerie, per negozi dai marchi che hanno fatto la storia della città e ne hanno animato l’economia, per semplici botteghe che fanno da collante a una comunità. A una città che si rispetti.
Fate la prova -e non lo dico ai miei concittadini che ahimé lo sanno fin troppo bene-, fate la prova voi "foresti" che venite a cercare «il tram per piazza San Marco»: cercate una macelleria, cercate un panificatore, cercate una boutique che non sia la solita griffe da "Sex and the City" o il negozio seriale con le cose che trovate allo stesso prezzo venti metri dopo e venti metri prima. Cercate. Cercate i veneziani. Cercate Venezia. Se potete. Se ci riuscite.