Domenica 21 ottobre 1866, quando a Venezia nacquero le suffragette dai fazzoletti bianchi

Sabato 30 Dicembre 2023 di Alessandro Marzo Magno
Domenica 21 ottobre 1866, quando a Venezia nascquero le suffragette dai fazzoletti bianchi

In occasione del Plebiscito per l’unione all’Italia del 1866, un anno prima della nascita del movimento inglese delle “suffragette”, le veneziane scesero in piazza per rivendicare il diritto di contare e di contarsi: con una lettera al Re.

Donne che protestavano, donne che volevano votare, donne che agitavano fazzoletti bianchi per affermare il loro diritto al voto: accadeva a Venezia domenica 21 ottobre 1866.

Le donne veneziane protestavano per non poter votare al plebiscito per sancire l'unione del Veneto all'Italia che si stava tenendo in quel giorno, e in quello successivo. «C'erano state nella penisola anche altre manifestazioni femminili di diverso tipo, ma a Venezia e nel Veneto avviene per la prima volta la rivendicazione del voto», spiega Nadia Maria Filippini, già docente di Storia delle donne all'università Ca' Foscari di Venezia. Attenzione alle date: la Manchester Society for Women's suffrage, che avrebbe dato origine al movimento delle suffragette, viene fondata qualche mese dopo, nel gennaio 1867. Si può quindi ragionevolmente sostenere che quella veneziana fu una delle primissime, se non proprio la prima, manifestazione suffragista in Europa.

CONFRONTI
Certo, al di là della scansione temporale, non si possono fare facili confronti. «Le manifestazioni britanniche successive», precisa Filippini, «ebbero un carattere più forte, una rivendicazione più incisiva, non si possono paragonare. Rimane il fatto che quella di Venezia è stata una manifestazione di piazza tra le più significative in Italia». Le veneziane ma non solo loro volevano votare e volevano votare a favore dell'unione del Veneto all'Italia, le due cose non vanno mai discoste nelle loro prese di posizione. Della manifestazione di protesta con tanto di banda, musica e fazzoletti bianchi del 21 ottobre scrive la "Gazzetta di Venezia" del giorno successivo. «Chi avesse veduto ieri, verso le due pomeridiane il cortile di Palazzo Ducale, avrebbe certo bramato di poter con un solo colpo di pennello ritrarre il magnifico spettacolo che presentava. La musica, coperta da numerose bandiere, s'aggruppava sotto il monumento di Francesco Maria d'Urbino dando nuova e insolita vita a quei marmi, testimoni di tante grandezze cadute. Il cortile, la scala dei Giganti, le logge erano gremite di gente in modo che i mille colori e l'agitarsi di tanti bianchi lini che sventolavano nelle mani delle signore, produceva una scena nuova, tutto ideale, tutto veneziano. Si trattava di una nobile congiura del sesso più debole, che assolutamente protestando contro l'esclusione dal voto, volea attestare al Re, all'Italia, che le donne veneziane erano concordi nel volerla a lui unita, quasi che il sacrificio dei figli e degli sposi ch'esse avean fatto in tanti anni di lotta non bastasse a significarlo. Non c'era modo di frenare questo entusiasmo, mentre tutte si tenean ferme nel voler recarsi dal generale di Revel, per fargli conoscere questa ferma volontà femminile. Percorsero la piazza, dopo che l'avvocato Pellatis, comandante provvisorio della nostra Guardia civica, le arringò, persuadendole a inviare semplicemente una deputazione, e la cosa, a quanto ci fu detto, finì appunto in questo modo». (Genova Thaon di Revel era il commissario militare sabaudo).


Ed ecco il documento che le donne veneziane fanno recapitare a Vittorio Emanuele II, pubblicato nella "Gazzetta di Venezia" del 25 ottobre: «Sire, gli uomini hanno creduto di esser saggi e giusti quando decretarono che quella, la quale pur chiamano più eletta parte dell'umanità, fosse esclusa dal concorrere colla sua azione in tutto ciò che si attiene al governo della cosa pubblica. Le donne di Venezia non si arrogano il diritto di giudicare tale legge, ma proclamano in faccia al mondo, che mai il sesso loro ne sentì l'amarezza e l'umiliazione più profondamente che in questa circostanza in cui le popolazioni sono appellate a dichiarare se vogliono unirsi alla comunità patria sotto il glorioso scettro della Maestà vostra e de' suoi Augusti Successori. Ma se ad esse è vietato di deporre il Sì che compirà l'Italia, non sia però tolto loro di farlo giungere in altro modo ai piedi di Maestà Vostra. Accogliete dunque, o Sire, questo grido spontaneo che, unanime, ardente prorompe dal fondo dei nostri cuori. Sì, noi vogliamo, come lo vogliono i nostri fratelli, l'unione di Venezia all'Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele e de' suoi successori».


LE ALTRE
Non sono solo le veneziane a chiedere il diritto di voto. Filippini scrive: «A Dolo, Padova e altri comuni si costituiscono commissioni di donne che organizzano "plebisciti femminili". In alcuni comuni del Friuli centinaia di donne votano "privatamente in urne separate", come nel distretto di Cividale». A Dolo, dove numerose nobildonne risiedevano nelle ville sul Brenta, la Commissione femminile per il plebiscito stila un appello alla popolazione: «Anche noi donne italiane abbiamo il diritto e dovere di esprimere il nostro voto, e di concorrere e proclamare l'unione di queste province alla grande famiglia italiana. Abbiamo diviso i dolori, i tormenti, le umiliazioni dei nostri padri, dei fratelli, degli sposi, dei figli, abbiamo pianto con essi e forse più di essi abbiamo maledetto l'austriaco tiranno che ci divideva dai nostri cari, e dal forzato abbandono ci dileggiava coll'ironia, con lo scherno, con l'insulto. Perché oggi non prenderanno parte attiva alla loro gioia? Perché non mostreremmo all'Europa che le donne d'Italia dividono con gli uomini non solo gli affetti e i pensieri, ma anche le patrie acquisizioni?».


«Va sottolineato», osserva Filippini, «che spesso il Veneto è stato rappresentato dopo l'unità come una regione periferica, politicamente e culturalmente arretrata. Stiamo via via scoprendo che sul piano rivendicativo dei diritti, le donne del Veneto hanno avuto un ruolo di primo piano, molto trainante nel percorso di emancipazione. Infatti il primo giornale emancipazionista è stato pubblicato nel 1868 a Padova da Gualberta Beccari». Si tratta del quindicinale "La Donna", scritto soltanto da donne e diffuso su tutto il territorio nazionale, diretto per ventidue anni, fino alla chiusura dalla stessa Beccari. La protesta delle donne che durante la dominazione austriaca avevano diritto al voto amministrativo, quindi l'arrivo dell'Italia ha costituito un regresso da questo punto di vista porta alla cerimonia di domenica 11 novembre 1866, quando re Vittorio Emanuele II decora la bandiera di Venezia con la medaglia d'oro per la resistenza del 48 e poco dopo riceve le persone benemerite, tra cui le patriote «che avevano sofferto la prigionia austriaca»: Maddalena Montalban Comello, Elena Bentivoglio Contarini, Teresa Labia Danielato, Marianna Marini Gargnani, Bon Cornaggia». A ciascuna viene dato «un grazioso presente», un anello con le sigle reali. Per il diritto di voto bisognerà attendere la repubblica, dopo che Mussolini aveva beffato le donne concedendo il diritto di voto a poche privilegiate per le sole amministrative, nel 1925 e quindi abolendo le elezioni nel 1926.

Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre, 10:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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