Giallo sulla morte del piccolo Samir
forse è stato schiacciato dai genitori

Martedì 4 Novembre 2014 di Monica Andolfatto
Papà Dali e il piccolo Samir (foto Journalist)
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MESTRE - Samir aveva compiuto un mese, domenica, il giorno dei defunti, l’ultima poppata alle quattro e mezza, quando il padre era rientrato dal lavoro e aveva mangiato qualcosa, due coccole della mamma e poi di nuovo a nanna nel lettone in cui dormivano tutti, anche il fratellino di 3 anni. In quattro sullo stesso materasso da una piazza e mezza, forse per scaldarsi.



La cameretta-soggiorno è talmente stipata che non ci sarebbe posto nemmeno per una carrozzina. Tre ore più tardi era morto. «Era in salute, non aveva nessuna malattia. L’avevamo portato dal pediatra una settimana fa e ci aveva detto che pesava troppo, quasi 5 chili. Perché tutto questo?». Ad accorgersi della tragedia è stato Sattad, il primogenito della coppia di bengalesi, anche lui nato all’Angelo come il fratellino: «Mami, mami, Samir sta male, c’è sangue».



Il padre Dali Susan non si dà pace. Lui 28 anni, barista in un locale di campo San Geremia a Venezia, è arrivato a Mestre nel 2007. La moglie, Samsunnahar Aktar, 25 anni, lo ha raggiunto tre anni dopo e nel 2011 era nato Sattad. Il papà spiega: «Ho chiamato il 118, mi hanno detto stai calmo e fai tutto quello che ti diciamo. Così ho cominciato con la respirazione bocca a bocca per rianimarlo. Non devi smettere, stiamo arrivando, mi dicevano. Ma Samir non si muoveva. Era bianco, bianco». I sanitari purtroppo non hanno potuto far altro che constatare il decesso del neonato. Informato dell’accaduto il magistrato di turno, Stefano Ancilotto, ha chiesto l’intervento del medico legale e della polizia scientifica. Escluse da subito cause traumatiche, si pensa che la morte possa ricondursi a soffocamento o schiacciamento involontario: lo stabilirà l’autopsia.



Ma Dali scarta queste ipotesi: «Era di schiena. Se stava male si metteva di pancia. Nessuno lo aveva toccato ed era riparato» ripete indicando una pesante coperta che fungeva da culla. Con la famigliola ci sono almeno una decina di connazionali, alcuni coinquilini, altri conoscenti: l’alloggio è angusto, un mini tinello, bagno e cucina. Tutti indossano il cappotto. «Ho una sorella che vive a Mestre e un’altra a Udine che sta per venire qui» continua Dali. «Siamo di fede musulmana, spero che non taglino il corpicino del mio piccolo. Lo voglio riportare in Bangladesh, sto aspettando la telefonata di mio papà per il viaggio».



Ultimo aggiornamento: 15:54

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