«Donadio e i suoi uomini sono molto pericolosi: non mafiosi»

«La posizione e la condotta del boss non è riconducibile a quella del capo di una cosca»

Sabato 2 Dicembre 2023 di Gianluca Amadori
Luciano Donadio

VENEZIA - Il gruppo criminale capeggiato da Luciano Donadio «possedeva sicura valenza di spiccata pericolosità sociale», ma non vi sono gli elementi per definirla un'organizzazione di stampo mafioso.
Il Tribunale di Venezia affida a ben 3194 pagine le motivazioni della sentenza, depositata ieri, con cui, lo scorso giugno, ha inflitto pene per un totale di 217 anni di reclusione ai componenti dell'organizzazione che per molti anni ha spadroneggiato sul Veneto orientale, imponendo la sua legge di intimidazioni e violenze, commettendo reati di vario tipo: da estorsioni ad usura, a violazioni di natura fiscale.
Il collegio presieduto da Stefano Manduzio ha riconosciuto la sussistenza di un'associazione per delinquere "semplice" e spiega la differente conclusione a cui è giunto il Tribunale rispetto al giudice del processo abbreviato (secondo il quale, con decisione confermata dalla Cassazione, l'associazione era invece di stampo mafioso) facendo riferimento ad un «materiale probatorio profondamente diverso, che si fonda sulle acquisizioni dibattimentali»: un processo durato tre anni, oltre 100 udienze, e numerosi testimoni ascoltati.
«La posizione e la condotta di Donadio non è riconducibile a quella del capo mafioso - scrivono i giudici - I soggetti dinanzi a lui non si pongono in una posizione di sudditanza, ma interloquiscono supportando le proprie ragioni...

Donadio non è arbitro amichevole, ma non è neppure una figura, evocata da una delle difese, di "sindaco del rione Sanità" della commedia di Eduardo, perché questo personaggio è invece davvero un capo mafioso. Non è un boss che si sostituisce all'autorità deputata a esercitare la giustizia... Donadio utilizza queste situazioni per ricavare, tramite minaccia/violenza, dei ricavi ingiusti e illegittimi... Non è il boss e il "sindaco del rione Sanità" anche se certamente a lui piace e autogratifica tale definizione, ma la realtà è ben altra».

MANCA LA FORZA INTIMIDATRICE
Nella sentenza, di cui sono relatori anche Claudia Maria Ardita e Marco Bertolo, si legge che «appare acquisita in termini di evidenza l'assenza di diffusibilità di una forza intimidatrice promanante dal sodalizio di Donadio nei riguardi della generalità degli appartenenti alla collettività del territorio... commercianti e imprenditori, il dato non viene dimostrato con riferimento a tali categorie generali, bensì con riguardo a singoli soggetti».
E ancora: «Non vi è prova che le iniziative del gruppo Donadio siano state dirette a un'attività di recupero crediti generalizzata, né di dazioni di denaro a usura, ma singoli episodi di recupero crediti, mediante violenza e minaccia».
Secondo il Tribunale, inoltre, non vi sono riscontri di un collegamento tra i casalesi e l'organizzazione di cui Donadio era il boss riconosciuto ad Eraclea, «non essendo sufficienti i limitati riferimenti a viaggi dello stesso Donadio e Buonanno a Casal di Principe, nonché a consegne di denaro mai confermate e dimostrate».
E non basta il fatto che siano gli stati gli stessi Donadio e Buonanno a vantarsi di essere casalesi. Secondo il Tribunale si trattava di «esposizioni vanesie» finalizzate ad impressionare attribuendosi rilevante importanza criminale».
«Manca assolutamente la prova dell'esistenza di una struttura locale dell'associazione mafiosa di Casal di Principe - si legge nella sentenza - Manca la prova sulle caratteristiche di un accordo tra la casa madre e la locale sui capitali, sugli strumenti e sui mezzi assegnati, in termini di specifiche indicazioni e non già di suggestive ipotesi, nonché sul soggetto cui sarebbe stato assegnato il comando della locale, su patti per entità e modalità delle somme da versare alla casa madre... Non sono sufficiente mere indicazioni generiche».

NON È UN CASALESE
L'uso della violenza, accertato nei vari episodi contestati a Donadio e ai suoi sodali, non è requisito sufficiente per provare la sussistenza del delitto di associazione mafiosa, spiegano i giudici. «L'associazione mafiosa possiede forza intimidatrice proveniente dalla stessa entità di gruppo criminoso e non ricollegable al mero singolo malavitoso, da cui consegue un assoggettamento e una condizione di correlata omertà nei sottoposti alla stessa, destinatari delle attività criminali».
Assoggettamento e omertà che dal processo non sono emersi, sostiene il Tribunale. E la prova viene anche dalle nomerose querele sporte contro Donadio e i suoi sodali. «Assoggettamento omertoso presuppone obiettivamente ben altro rispetto alle singole doglianze di persone che abbiano sopportato comportamenti di sopraffazione, violenza o minaccia da appartenenti al gruppo Donadio».
Per le difese saranno vacanze di Natale di lavoro: i legali degli imputati dovranno, entro 45 giorni, leggere le oltre tremila pagine e preparare gli atti d'appello con i quali chiedere assoluzioni o quantomeno riduzioni di pena.
 

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