"Scampato ai lager grazie al nuoto", l'epopea di Giorgio Salvadori raccontata dal figlio

Lunedì 31 Gennaio 2022 di Francesco Coppola
"Scampato dal lager grazie al nuoto", l'epopea di Giorgio Salvadori raccontata dal figlio
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MESTRE   - "Il mio obiettivo era di sapere quello che in gioventù era stato il nuoto per mio padre Giorgio e come si era avvicinato a lui ed era riuscito a superare le difficoltà che avevano dovuto affrontare lui e la sua famiglia, veneziana di origine ebraica, coinvolti dagli eventi legati alle persecuzioni nazifasciste della seconda guerra mondiale" rivela David Salvadori autore del libro "Il nuoto Mi ha salvato la vita. Storia di mio padre" alla  presentazione in municipio a Mestre con autorità e rappresentanti del Panathlon. Manifestazione, molto sentita, preparata in occasione delle Giornate della Memoria con la collaborazione dell'Associazione Figli della Shoah.

E' un libro che sotto certi aspetti rappresenta un album di famiglia nato casualmente e destinato al figlio dell'autore nato l'anno dopo in cui è morto il nonno e che non ha avuto modo di poterlo conoscere. "Ho cercato di raccogliere tutti i ricordi e le esperienze vissute da mio padre per ricostruire quegli anni - ha raccontato David Salvadori che è direttore tecnico della Ranazzurra Lido - .

Il libro inizialmente doveva essere una sola copia, per mio figlio che vive a New York, ma poi ce ne sono state altre per la famiglia, i nipoti e la Comunità Ebraica. Il nuoto mi ha salvato la vita era qualcosa che si diceva in famiglia ma che ben poco si sapeva perchè lui non ne parlava quasi mai se non in qualche momento particolare. Alcuni anni fa sono stati aperti i dossier e gli archivi svizzeri che riportavano parte della vita di ciascun rifugiato e mia sorella è riuscita ad avere i loro file e quando li ho aperti mi sono accorto che dentro c'era tutta una storia di vita di mio padre cosa che noi assolutamente non conoscevamo".

"Ho cominciato a lavorare su questo dossier e fortunatamente questo è avvenuto quando mia madre era ancora in vita - ha proseguito l'autore - e da lei ho potuto raccogliere le testimonianze. Nessuno sapeva come aveva cominciato a nuotare, cosa aveva fatto prima della guerra ed io ho ricostruito quello che è stato il suo percorso di nuotatore fin da ragazzino. La ricerca è durata due anni e ho anche sfogliato tutti i giornali a cominciare da 'La Gazzetta di Venezia' di quegli anni perché era l'unico strumento che mi consentiva di ricostruire. Un nucleo famigliare composto da i nonni Angelo e Bice e da 5 figli. Una famiglia di ebrei, di origine greca e precisamente di Corfù, inserita perfettamente nella vita normale di Venezia che viveva a San Marco e gestiva una tabaccheria in Frezzeria. Non era particolarmente religiosa e probabilmente andava in Sinagoga due volte l'anno per gli eventi più importanti ed erano perfettamente assimilati nella comunità".

"A Venezia - ha detto David Salvadori - si imparava a nuotare nei canali con i bambini che avevano la corda in vita e utilizzavano una tavola per lavare i panni. Un giorno un bagnino ha visto mio padre nuotare e lo ha invitato alla piscina Passoni in occasione di una gara che vinse e da quel momento scattò la passione per il nuoto. Ho consultato articoli che lo indicavano come nuotatore del futuro. Ma nel 1938, anno della promulgazione delle leggi razziali, cominciarono i problemi quindi discriminazioni nei diritti di tutti gli ebrei e il 22 agosto ci fu il censimento di tutti gli ebrei residenti in Italia e la popolazione a Venezia allora era di 265 mila abitanti e gli ebrei erano 2365 ovvero lo 0,9 su mille. Da rilevare che i veneziani deportati nei campi di concentramento furono 246 e che soltanto 8 riuscirono a salvarsi".

"Censimento che diede l'avvio alle retate dei nazifascisti che andavano casa per casa a prelevarli - ha continuato - perché gli ebrei non appartenevano alla razza italiana e quindi escluse le possibilità di frequentare le scuole, di servire lo Stato, di avere un lavoro e l'assurdità di vietare loro di possedere le radio in casa. Successivamente, come avvenuto a mio padre, allontanati anche dalle società sportive di appartenenza. Poi ci fu l'obbligo di presentarsi in Comune per apporre su tutti i certificati la dicitura di appartenenza alla razza ebraica. Ho avuto contatti anche con i compagni di squadra di mio padre alla Veneziana Nuoto per sapere loro cosa ne pensavano del fatto che lui fosse ebreo e la risposta fu: 'a noi non importava nulla se lo era e, anzi, una volta un ispettore dopo una gara ci segnalò che lui non avrebbe dovuto partecipare ma gli rispondemmo di lasciare stare'. Da tenere presente che gli stabilimenti balneari del Lido erano vietati agli ebrei". "A quel punto la possibilità di potersi salvare diventarono limitate - ha detto lo scrittore - e ci furono alcuni che presero altre strade come quelli di raggiungere gli Stati Uniti e la Svizzera con quest'ultima che durante la guerra era neutrale ma era molto rischioso raggiungerla ma da Venezia partì lui e parte della famiglia. Raggiunsero Milano e poi Como dopo aver pagato inutilmente dei contrabbandieri che li avrebbero dovuti trasferire. Una volta raggiunto il confine elvetico, delimitato da filo spinato, fu detto loro che non potevano più entrare perché era tutto esaurito e non potevano più ospitarli". Il giorno dopo alla sollecitazione del gendarme di lasciare il confine Giorgio Salvadori gli chiese la sua pistola in dotazione in quanto se sarebbe tornato indietro lo avrebbero ammazzato o mandato nei campi di concentramento e a quel punto sarebbe stato meglio il suicidio. Frase che colpirono i gendarmi che lasciarono entrare lui e un suo amico. "In Svizzera dove ha lavorato nei campi per un anno e mezzo - ha sottolineato Salvadori - raccolsero tutta la sua documentazione con varie fotografie che sono state necessarie per costruire tutto. Un giorno nei pressi della casa degli Italiani a Lugano dove si radunavano dopo il lavoro mio padre vide dei ragazzi che giocavano a basket e chiese loro se potevano indicargli una piscina. Impianto che potette frequentare tramite i permessi concessi l'autorizzazione a insegnare nuoto e ad allenarsi ponedosi all'attenzione degli elvetici ma che non poteva gareggiare perché italiano". Tra i ricordi raccontati dallo scrittore quelli che mentre a Lugano il papà stava lavorando con altri nei pressi di una linea ferroviaria un convoglio di militari tedeschi che li riportava in patria dovette rallentare e i passeggeri rivolsero loro il saluto nazista cosa che scatenò l'ira gli operai che risposero lanciando contro di loro sassi. Un evento che creò grossi problemi tanto che le autorità elvetiche trasferirono i 50 'sassaioli' in un campo di lavoro di punizione.

"Il 2 maggio del 1945 mio padre potè ritornare a Venezia e riprendere a nuotare alla Veneziana Nuoto - ha concluso l'autore - e dopo una parentesi in Svizzera, vinse nel 1946 a Milano il titolo italiano dei 100 e 200 stile libero. Mio padre, ma anche altri come lui, per molti anni hanno sempre evitato di raccontare e di nascoscondere nel bene e nel male quello che era successo. Una famiglia la mia che sotto certi aspetti è stata fortunata e che nascondendosi ha evitato i campi di concentramento".

Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 10:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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