«Io, Danilo, legionario per scelta. Sì, ho ucciso o sarei morto io. Ma in Bosnia sono rimasto choccato»

Mercoledì 26 Aprile 2023 di Vittorio Pierobon
Danilo Pagliaro

In Francia si chiamava Pedro Perrini, in Italia all’anagrafe è iscritto come Danilo Pagliaro. Tutto regolare, la doppia identità, è una forma di copertura, a cui possono accedere gli uomini della Legione Straniera, il corpo scelto dell’Esercito francese. Danilo è veneziano d’adozione. È nato a Marina di Ravenna, dove il padre lavorava nella Guardia di Finanza, ma fin da piccolo ha vissuto in laguna, in zona San Vio, vicino all’Accademia. Ha frequentato le medie e il liceo classico nell’istituto dei padri Cavanis, e si è sposato con la figlia di un gondoliere, imparentata con Giampaolo “Superd’Este”, uno dei grandi campioni della Regata Storica. 
Dal 1994 è un legionario, una scelta di vita coraggiosa, quasi una vocazione, come racconta nella sua biografia “Vita da legionario”, scritta con Alessandro Cipolla, edita da Diarkos. Ma anche una scelta di vita tardiva a 37 anni, quando era già sposato con due figli. Nell’immaginario - costruito da film e romanzi - il legionario è un uomo con un passato difficile che non ha nulla da perdere. Non è il caso di Pagliaro, 66 anni, laureato in Lettere e con una serie di master e corsi post laurea, che aveva famiglia e un buon lavoro. 
«Noi legionari abbiamo una fama sbagliata, frutto della non conoscenza - chiarisce il brigadier-chef Pedro Perrini, che vive ad Orange a una ventina di chilometri da Avignone - Non siamo assolutamente una banda di delinquenti.

Anzi noi siamo portatori di valori morali, educazione, rispetto, umanità, fratellanza. In un corpo d’élite non c’è posto per teste calde. Le regole sono rigidissime, chi sbaglia è fuori».


Però ci si può arruolare anche con la fedina penale non pulita.
«È vero, ma va fatto un distinguo. Chi si è macchiato di reati di sangue, sesso o droga è messo al bando. Chi ha commesso crimini, diciamo più lievi, e comunque ha scontato per intero la pena, può fare domanda di arruolamento. La Legione ti dà un’altra possibilità, ma devi entrare senza conti in sospeso, e devi rigare dritto».


Come si diventa legionari?
«Tutti possono fare domanda. Il limite di età sono i 40 anni. Non serve titolo di studio. Il difficile è superare i test d’ammissione. Ci riesce in media uno su 120. È una selezione durissima. Bisogna affrontare un percorso di test psico-fisici estremamente rigido. Non puoi sbagliare mai. Al primo test non superato, sei scartato. Non siamo dei Rambo, però essendo un corpo scelto dobbiamo avere caratteristiche forti di resistenza fisica e psichica. Direi il 40% fisica e il 60% di testa. È dura reggere».


Le richieste di arruolamento sono molte. Cos’è che attrae? Il fascino? Il denaro?
«Facciamo chiarezza sui numeri. Da noi il reclutamento non è su base nazionale, ma su base mondiale. Chiunque può fare richiesta, la nazionalità non conta. La lingua ufficiale è per tutti il francese, che bisogna assolutamente imparare. Escluderei che la calamita possa essere il denaro, perché la paga non è alta. Circa 1.300 euro al mese, che diventano circa 3.200 durante le missioni. Piuttosto direi che attrae la possibilità di iniziare una nuova vita, chiudendo con il passato che per molti può essere stato difficile».


E cambiando anche identità, per sparire completamente.
«È una possibilità. Nel mio caso è stato necessario, perché in Legione non arruolano chi è sposato. Diventando Pedro Perrini sono tornato ad essere celibe, anche se ovviamente il legame familiare è rimasto. Mia moglie era consapevole di questa scelta. La mia vera identità era conosciuta solo dal Bureau della Sicurezza Militare della Legione. Nemmeno i miei comandanti la conoscevano. Un legionario quando viene arruolato non può essere sposato. La sua famiglia è il reggimento, si diventa una cosa unica. Ci si muove all’unisono. Per esempio, non si va in ferie scaglionati, ma tutti insieme. L’intero reggimento è in ferie, così non si creano problemi di sostituzione». 


Ma adesso firma i libri con il vero nome. 
«Perché, quando ho divorziato è venuto meno questo vincolo. Comunque anche i legionari si possono sposare, però dopo 5 anni di servizio».


I suoi superiori come hanno visto questa sua attività di scrittore? 
«Bene. Ho chiesto se volevano leggere il libro prima della pubblicazione. Mi hanno detto che non serviva. Si fidavano. Quello che ho scritto è tutto vero, tranne i nomi che sono di fantasia per mantenere la copertura».


Parliamo del lavoro. In cosa consiste l’attività della Legione straniera?
«Facciamo parte a tutti gli effetti dell’esercito francese, quindi siamo dei soldati e in questo ambito veniamo impiegati. Non combattiamo guerre, perché la Francia e l’Europa non sono in guerra con nessun Paese. Siamo impiegati in operazioni militari di difesa, mantenimento dell’ordine, e possibilmente della pace».


Che differenza c’è con gli altri militari?
«L’addestramento, la totale dedizione, il restare sempre in perfetta forma».


Dove è stato in missione?
«L’elenco è lungo. Ho fatto molta Africa, due anni e mezzo a Gibuti, due in Mozambico, nella Repubblica del Centro Africa, in Camerun, Costa d’Avorio, Egitto, ma anche Yemen, Qatar, Afghanistan».


Si è trovato spesso a dover sparare?
«Noi non andiamo mai per sparare. Usiamo le armi per difenderci. Ho sempre cercato di parlare poco di quanto avviene in combattimento. Non abbiamo nulla da nascondere, noi combattiamo lealmente. Però ho visto scene agghiaccianti. Violenza senza limiti contro donne e bambini. Ho visto neonati inchiodati agli alberi. È questo che cerchiano di impedire, la barbarie».


Lei racconta che a Srebrenica, in Bosnia, è rimasto choccato.
«Abbiamo scoperto, durante una marcia, un campo di concentramento. Il primo segnale è stato la puzza, un odore vomitevole. La puzza di cadavere in putrefazione. Decine, centinaia. Poi abbiamo visto i recinti con i prigionieri. Larve umane. Un’immagine a colori, uguale a quella dei filmati dei campi di concentramento nazisti dopo la liberazione. Purtroppo siamo arrivati troppo tardi per salvare molti di loro».


Anche lei ha ucciso qualcuno?
«Purtroppo devo rispondere sì. Ho sparato verso chi ci attaccava e ho visto cadere il bersaglio. Non sai chi uccidi e nemmeno se è morto o solo ferito. Sai che hai colpito chi ti voleva uccidere. È spietato, ma non c’è alternativa».


Pentito?
«Dispiaciuto. Se non l’avessi fatto sarei morto io. Uccidere non può lasciare indifferenti. Pensi che non vado nemmeno a caccia. Alla televisione guardo cartoni animati. E a volte mi commuovo».

(vittorio.pierobon@libero.it)

Ultimo aggiornamento: 17:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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