Marina Querini Benzon, nobildonna veneziana: la “biondina in gondoleta”

Martedì 3 Marzo 2020 di Alberto Toso Fei
Marina Querini Benzon (1757-1839) - Illustrazione di Matteo Bergamelli
Fu una delle veneziane libere nel pensiero, nei costumi, nei gesti e nelle parole che il Settecento produsse a Venezia, animatrice di uno dei cenacoli artistici e letterari più conosciuti in città, rivoluzionaria fiera e libera di festeggiare la caduta del governo veneziano. Ma è soprattutto colei che fu eternata nei versi di Anton Maria Lamberti che ispirarono le musiche di Giovanni Simone Mayr (il maestro di Gaetano Donizetti) per una canzone che è ancora una “hit” intramontabile: “La biondina in gondoleta”.

Nata il 28 luglio 1757 a Corfù da Matilde Da Ponte e Pietro Antonio Querini, che vi ricopriva in quel momento la carica di Provveditore Generale da Mar, Marina Chiara Querini a soli vent'anni – col matrimonio avvenuto nella basilica di San Giorgio Maggiore col conte Pietro Giovanni Benzon, acquisiva il doppio cognome con cui è conosciuta da sempre, Marina Querini Benzon.


Dotata di un'intelligenza non comune, animò nel suo palazzo sul Canal Grande un celebre salotto letterario al quale parteciparono, fra gli altri, Ugo Foscolo, Thomas Moore, Antonio Canova, Ippolito Pindemonte; Stendhal scrisse che il salotto della contessa era quanto di più intellettualmente stimolante si potesse trovare in città. Lo stesso palazzo e salotto letterario dove Lord George Gordon Byron conobbe e si innamorò di Teresa Guiccioli, per seguire la quale – venendo meno ai suoi stessi propositi di evitare i legami sentimentali – lasciò Venezia per sempre.

Grandi occhi azzurri, pelle bianchissima, capelli biondi e una figura sottile, Marina Querini era di una bellezza ammaliatrice, che ben si sposava col suo carattere ribelle. Esuberantissima e insofferente alle regole della vecchia aristocrazia veneziana, al cadere della Repubblica nel maggio del 1797 si lanciò a ballare scarmigliata, con una leggerissima veste aperta sulla coscia e il seno scoperto, intorno all’albero della libertà sormontato dal berretto frigio, piantato dai francesi in Piazza San Marco. Venezia non glielo perdonò. Al Caffè Florian si narravano cose orribili cose intorno a lei. Si diceva che suo figlio Vettore fosse stato concepito da una relazione incestuosa col fratello (come ricordò anche Pietro Buratti in un pungente componimento).

Assieme alla sua esuberanza, è passata alla storia per quella canzone, “La biondina in gondoleta”, che la suggerivano facile preda di appetiti sessuali. Quando fu scritta, tutti a Venezia sapevano che era riferita a lei: la deliziosa “biondina” che, cullata dal molle dondolìo della gondola, si addormenta appoggiata al braccio dell’amico che alla fine, vinto dalla seduzione e aiutato da un vento complice che le scopre il seno, decide di passare all'azione: “Ma col fogo da vicin / Chi averia da ripossar? / M’ò stufà po’ finalmente / De sto tanto so dormir / E g’ho fato da insolente / Né m’ho avudo da pentir; / Perchè, oh Dio, che bele cosse / Che g’ho dito, e che g’ho fato! / No, mai più tanto beato / Ai miei zorni no son sta!”.

Marina Querini Benzon non era solo bella e spregiudicata. Aveva anche un bel caratterino, e a quelle strofe sfacciate che la suggerivano facile preda di appetiti sessuali rispose, è il caso di dire, per le rime: “Canta, infame, le bravure / che ti à dito, che ti à fato. / Ma pitosto, canta el vero / della schiaffa maledeta / che da ti stada costreta / sol to muso gò molà. / E po’ canta finalmente / come, sensa alcun costruto, / ti è restà, là, a muso suto / perchè a terra ho desmontà!”.

Marina Querini Benzon ebbe la “colpa” di sopravvivere a lungo alla caduta della Repubblica (morì il primo marzo del 1839), diventando vittima di una faticosa vecchiaia che le costò l’impietosa definizione di “stramazzo despontà”, materasso scucito. Ai gondolieri non era sfuggita la sua predilezione per la polenta, che la donna si nascondeva ancora calda tra i seni, per potersela sbocconcellare in pace in gondola: “el fumeto”, il fumetto, l’appellavano, quando dall’ampia scollatura vedevano uscire i vapori del cibo.
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