di Gabriele Pipia
SPINEA - «In quel maledetto marzo
1933 fummo utilizzati come
cavie umane. Io sono sopravvissuto, tanti altri bambini no. Ma
a tutti quei piccoli martiri non è dedicata nemmeno una targa».
Sono passati esattamente ottant'anni, ma il ricordo è ancora vivo nella mente di
Adamo Gasparotto, che ora abita a
Spinea e di anni ne ha quasi 86. Per gli storici locali e per gli anziani residenti del paese, quella del 1933 è ricordata come "
La strage di Gruaro".
La storia, struggente, è documentata da molte
ricerche storiche relative al periodo fascista. «Il prefetto e le altre autorità di allora, su indicazione del regime, scelsero i Comuni di
Gruaro e
Cavarzere per testare un
nuovo vaccino contro la difterite - racconta Gasparotto -. Il nostro dottore era del tutto contrario, ma evidentemente c’era il bisogno di provare sul campo il vaccino.
La puntura venne fatta a 253 bambini e ben 28 morirono nei giorni seguenti. Quasi sotto silenzio».
Tra quei 253 bimbi c'erano pure Gasparotto e la sua sorellina di tre anni: «Ci somministrarono quel vaccino all'ambulatorio comunale, ma
tornati a casa ci sentimmo tutti male - racconta riportando le testimonianze degli adulti dell'epoca -.
Si cadeva a terra e, mangiando, si rischiava di soffocarsi. Tutti piangevano, il paese era in apprensione. Alla fine ci dovettero ricoverare a Portogruaro, dove l'ospedale era pieno e vennero organizzati reparti di fortuna. Eravamo tutti terrorizzati,
ogni tanto qualche bambino moriva e si capiva dalle urla delle mamme».
Gasparotto e la sorellina se la cavarono, e solo negli anni seguenti si chiarì quanto era successo: «Un contenitore di siero in un laboratorio di Napoli non fu fatto bollire - racconta Gasparotto -. Le fiale che finirono a Gruaro contenevano vaccino vivo, una
sostanza letale».
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