Patrice, profugo alla caserma Serena: dai barconi alla maturità a 37 anni

Mercoledì 17 Giugno 2020 di Alessandra Vendrame
Patrice Kouame
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TREVISO -  A 37 anni compiuti Patrice Kouame, profugo della Costa d’Avorio tra i 330 ospiti dell’ex caserma Serena, teatro della rivolta dei giorni scorsi per l’imposizione della quarantena dopo i nuovi casi di Coronavirus, conta ormai sulle dita di una mano non più le ore in attesa di uno sbarco sicuro, ma i giorni che mancano alla sua notte prima degli esami. Arrivato a Treviso tre anni fa, il 25 giugno discuterà all’Ipsia Giorgio Fermi il colloquio di maturità dell’indirizzo Meccanica. Una corsa ad ostacoli il suo diario di scuola. Iniziato dopo aver imparato da zero l’italiano attraverso i corsi di lingua per stranieri. Continuato frequentando assieme il corso di scuola media e il triennio delle superiori. E terminato dopo l’esame di licenza media con l’iscrizione agli ultimi due anni delle superiore: «Il primo giorno, appena arrivato a Treviso alla caserma Serena, non sapevo nemmeno dire “latte” a chi mi chiedeva che cosa volevo a colazione - racconta oggi il maturando Patrice – Così ho chiesto subito di poter andare a scuola per imparare l’italiano e poter capire. Visto che era maggio e la scuola stava per finire ho frequentato i primi tre mesi il corso base di italiano dentro la caserma».
IL VIAGGIO 
Dall’abc di una lingua mai sentita prima all’esame di maturità per Patrice il passo è stato tutto sommato breve. Anche se un diploma in contabilità e finanza nel bagaglio della sua vita scolastica portato dalla Costa d’Avorio già c’era. Patrice snocciola con precisione date e ricordi legati a quei giorni bui non poi così lontani che scandiscono non un diario di scuola, ma di guerra. Fuggito dalla capitale Abidjan nel 2012, dopo lo scoppio l’anno prima della guerra civile, si è rifugiato in Mali. Il viaggio in cerca di futuro e fortuna è poi proseguito nei successivi cinque anni tra Algeria e Libia: «In Algeria avevo lavorato un anno come muratore – racconta – Ma sono stato costretto a lasciare il Paese per non vedermi riportare indietro in Costa d’Avorio. Così nel 2013 sono andato in Libia. La situazione lì è un inferno. Ti portano in carcere per poterti ricattare e ricevere soldi dalla tua famiglia. Se vuoi tornare libero devi pagare. Durante il giorno c’è chi ti viene a prendere per portarti a lavorare nei campi. Sono riuscito a fuggire dalla Libia il 6 maggio 2017 partendo da Zabrata insieme ad altre cento persone. Siamo stati salvati in acque internazionali da una nave olandese dopo che in mezzo al Mediterraneo un’altra imbarcazione ci aveva rubato il motore e lasciati soli. Due persone sono morte. Soffocate in mezzo alla barca perché eravamo stipati. Sono sbarcato a Palermo il 9 maggio». 
Dopo l’odissea per raggiungere l’Italia l’ultima corsa ad ostacoli la settimana scorsa. Quando, dopo i due casi di Coronavirus, all’interno della caserma Serena è scattata la quarantena per tutti: «Quello che è successo fa male, abbiamo vissuto una situazione difficile. Tante persone come me sono qui perché vogliono costruire il loro futuro. Il problema è che siamo in tanti. Troppi tutti insieme. Non è normale vivere così. Se una persona si ammala tutti possono ammalarsi».
“Io voglio andare a scuola” sono state le prime parole imparate da Patrice in italiano. Poco importa se per poter studiare ogni giorno ci si deve far spazio tra 330 compagni di casa in un centro di accoglienza. Superata anche la nuova quarantena, lui riuscirà giovedì prossimo a presentarsi al colloquio della maturità: «La strada che non sono riuscito a percorrere nel mio Paese adesso posso iniziare a percorrerla qui». Prossimo passo: l’iscrizione alla facoltà di Ingegneria meccanica. I sogni non finiscono. Lo studio nemmeno.
 
Ultimo aggiornamento: 09:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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