​Violento con la compagna: «Prosciolto per la legge Cartabia»

Sabato 25 Novembre 2023 di Laura Bon
Violento con la compagna: «Prosciolto per la legge Cartabia»

MONTEBELLUNA (TREVISO) - C'erano tutti gli elementi per mandarlo a processo per maltrattamenti. Almeno per la difesa di lei. Ma il giudice ha deciso di archiviare tutto: «Per la riforma Cartabia». Eppure lui le aveva reso la vita un inferno. Era iniziato tutto con il telefonino: lui glielo controllava, le diceva se e quando poteva rispondere ai messaggi delle amiche. Poi aveva cominciato a ordinarle di stargli vicino quando camminavano per strada, fino a chiuderla dentro casa. «Devi tenermi stretto, solo così mi posso calmare, hai capito putt... che mi devi tenere stretto?», uno dei deliranti messaggi del giovane alla compagna trentenne. Un amore malato culminato quando, con lei incinta di 7 mesi, lei viene raggiunta da una spinta e da un pugno sferrato dall'uomo perché infastidito dalla visita di alcuni amici. Lei alla fine lo denuncia e lo porta davanti al giudice. L'accusa è di maltrattamenti. Ma il gip archivia tutto. Non perché non creda alla donna, nel frattempo diventata mamma, ma perché deve attenersi alla legge Cartabia. «Valutati i contenuti della riforma - scrive il giudice -, il processo non avrebbe una prognosi che propende per la condanna.

Manca infatti l'elemento soggettivo del reato, cioè la volontà di maltrattare perchè l'indagato parrebbe interessato da un disagio psicologico».

IL NODO
«La Riforma Cartabia - spiega l'avvocato Sabrina Favaro a cui si è affidata la donna, residente nel Montebellunese, in ambito penale, ha modificato l'art. 425, prevedendo che oggi un procedimento prosegua al dibattimento se gli elementi raccolti nelle indagini permettono una valutazione di ragionevole certezza di condanna. Questo, se può andar bene nei reati di matrice economica, non dovrebbe trovare applicazione anche nei procedimenti per violenza che, per definizione, non hanno testimoni oculari e non sempre hanno chiari referti medici. In questo caso il Gip ha ritenuto che, dagli elementi raccolti, non fosse in dubbio la credibilità della persona offesa, ma mancava l'elemento psicologico del reato nell'indagato, cioè la volontà di maltrattare, perché il ragazzo parrebbe interessato da disagio psicologico». «Ma allora si sarebbe dovuto procedere ad una perizia e, se confermato il difetto di imputabilità, si sarebbe potuta applicare una misura di sicurezza. Altrimenti le donne rimangono prive di tutela».


L'ALTRA BATTAGLIA
Il processo penale intentato all'ex compagno della giovane per violenza domestica si è concluso con l'archiviazione. Ora c'è quello civile per l'affidamento del piccolo. «Ho tanta paura -dice la giovane donna- perché, dopo le ripetute pressioni psicologiche vissute, fatte di controllo del telefono, isolamento rispetto alle amiche, scatti improvvisi d'ira con violenze anche fisiche, pensare di dover lasciare il mio piccolo al papà non mi fa dormire. Ma temo anche per me». «Purtroppo - aggiunge il legale - dopo 22 anni che mi occupo di diritto di famiglia e penale familiare è la prima volta, quest'anno, che mi vedo arrivare richieste di archiviazione in procedimenti che hanno ad oggetto il contrasto alla violenza di genere e domestica».


L'AFFIDAMENTO
«Incomprensibile è poi il fatto che nel procedimento civile instaurato per l'affidamento del bambino il CTU nominato, avvezzo a trattare la bigenitorialità e la conflittualità di coppia ma verosimilmente meno abituato a trattare i casi di violenza domestica, ha affrontato la questione come conflittualità nonostante l'ausiliario psichiatra del CTU abbia individuato un disturbo narcisistico di personalità nel papà del bimbo e una conseguente difficoltà a tollerare la frustrazione, reagendo con offensività in un rapporto, con quella che è oggi l'ex compagna, di prevaricazione-sottomissione - conclude Favaro -. Anche sulla base di relazioni dei servizi sociali intervenuti, che spesso non hanno l'abitudine di leggere le importanti allegazioni di violenza presenti nei fascicoli di causa per violenza per non crearsi un pregiudizio, il consulente tecnico ha trattato il caso come quello di due genitori conflittuali e non come una situazione di violenza domestica».

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