I piedi che cedono, l'ernia, il calvario senza fine: Emiliano e la vita spezzata a vent'anni

Domenica 11 Dicembre 2022 di Valeria Lipparini
Emiliano Conte

MONTEBELLUNA - I piedi gli cedevano, all'improvviso. Non aveva la forza di saltare, di correre, di fare le scale a due a due come fa un atleta. Emiliano Conte oggi ha 45 anni, ma ha cominciato a misurarsi con la malattia a 20 anni. Quando il futuro è davanti agli occhi e i sogni si accarezzano con la mano leggera della speranza. Lui voleva fare l'atleta di pallavolo. Sulla carta aveva buone probabilità di riuscirci. Giocava a livello agonistico con la pallavolo Montebelluna, città dove risiede tutt'ora, insieme ai genitori che lo aiutano nelle necessità quotidiane. E giocava anche bene. Ma la realtà si è messa di traverso rispetto alle sue speranze. E ha frantumato i sogni in step successivi. Un gradino peggiore dell'altro. Perché i medici non gli hanno diagnosticato subito la Charcot Marie Tooth 2, una malattia neurologica degenerativa di cui soffre.

La prima diagnosi è stata di ernia dorsale. «Quando sono apparsi i primi sintomi ero uno sportivo, giocavo a pallavolo a livello agonistico.

Ma i piedi mi cedevano, non avevano la forza di sorreggermi e non mi è stato più possibile fare i movimenti tipici di uno che insegue la palla. Il primo impatto è stato violento. È una condanna a morte sentirsi dire a 20 anni che non si camminerà più e si finirà su una sedie a rotelle. La prima diagnosi di ernia dorsale era sbagliata. Ma il mio destino era comunque segnato» racconta Emiliano, che ha conquistato un traguardo dopo l'altro con la fatica della volontà e la forza di un cuore che non si ferma.

I FATICOSI TRAGUARDI
Nonostante la Charcot Marie Tooth 2 lavora come ricercatore economico, fa parte di un coro gospel e non si abbandona alla disperazione, ma lotta lanciando un messaggio di speranza a tanti malati come lui. Lo farà dal vivo, partecipando alla maratona benefica Telethon che raccoglie fondi per la ricerca. «Sarò ospite di Rai2, sabato 17 dicembre alle 17,08. Racconterò la mia storia e dirò quanto è importante la ricerca per chi soffre di malattie genetiche, come me. Io non ho ancora la diagnosi precisa. Nel 2011 mi sono sottoposto al primo test per alcune forme specifiche di CMT iniziando dalle più comuni, ma non emerse nulla. Poi, altri test. Ora mi sono sottoposto ad un nuovo test, che permette di studiare più geni contemporaneamente e sono ancora in attesa di capire quale sia esattamente il gene mutato».
Smessa la pallavolo, Emiliano ha continuato l'Università e si è laureato in Economia e commercio a Venezia, fa parte di un coro gospel, e lotta per dare speranza a chi è malato come lui. Perché la malattia ha un impatto con la vita quotidiana. E ogni passo gli costa fatica e un dolore che tiene a bada con i farmaci. «Anche il semplice fatto di guidare mi ha richiesto una patente speciale in quanto uso comandi manuali. L'unica cosa che mi ha tenuto vivo è il canto. Ho una voce da tenore e mi esibisco con il Venice Vocal jam, a Ca' Noghera. Non è facile. Stare in piedi per delle ore durante i concerti è molto faticoso, anche cantare per me è difficile in quanto coinvolgo muscoli che sono provati dalla patologia. Una persona quando canta prova rilassatezza e gioia, io provo dolore. Ma cerco di portare avanti questa passione che è il filo conduttore della mia vita. Volevo che diventasse il mio lavoro. Mi accontento di cantare finché ci riuscirò».

L'APPELLO
Emiliano Conte è uno dei dirigenti dell'associazione nazionale che si occupa della patologia. Sa che, per ora, non ci sono cure. «Non esistono farmaci specifici per la mia malattia, che colpisce una persona ogni 2500. Quello che ci viene somministrato è per contrastare il dolore. È in fase sperimentale un mix di farmaci per attenuare la sintomatologia ma non risolve il problema. Il futuro sarà la ricerca genetica. Per questo è importante sostenere la ricerca. La speranza di tanti malati dipende solo da questo. Viviamo in una società individualista e sempre meno attenta a quelle che sono le necessità degli altri. Alle volte manca la cultura dell'inclusività. Ma tanto è stato fatto negli ultimi dieci anni e mi fa ben sperare in un futuro migliore». Lui, una sua ricetta, se l'è cucita sulla propria pelle: «Mi concentro sul presente. È importante non avere troppa paura del futuro, abbiamo gli strumenti per vivere una vita dignitosa. Un passo alla volta. Senza fermarsi mai». Ma ammette che qualcosa gli manca. E quando sogna ad occhi aperti dice: «Ritrovo la libertà di muovere il mio corpo come voglio, di correre, di saltare, di non stare sempre attento a dove cammino, a come muovo un braccio». E gli rinasce la speranza: «Un giorno la ricerca cancellerà gli ostacoli che impediscono di volare». Con il corpo, non solo con la mente.

 

Ultimo aggiornamento: 14 Dicembre, 15:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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