Trent'anni fa la vedova nera della Camorra lasciò il confino a Codognè: «Così fu abrogato»

Il 5 agosto 1993 Anna Mazza lasciava il soggiorno obbligato, sull'onda della mobilitazione civile

Sabato 5 Agosto 2023 di Angela Pederiva
Anna Mazza

TREVISO - Partì il 5 agosto 1993, lasciando dietro di sé il ricordo di un'imponente matrona, vestita a lutto con uno scialle viola sulle spalle, gli occhialoni da diva tempestati di brillanti e l'aria truce della Scianel di Gomorra quando rivendica il potere felino delle donne, perché «'mmiezz' ê jene a cummanna' songhe e femmene». Sono trascorsi trent'anni dal giorno in cui Anna Mazza, la vedova nera della camorra, lasciò Codognè dopo quattro mesi di confino, per effetto di una legge approvata in tempi record dal Parlamento, sull'onda della mobilitazione che dalla provincia di Treviso si estese al resto del Veneto. E non solo, come ricorda la delibera della Regione che ha appena assegnato un contributo di 5.000 euro al Comune, per un progetto commemorativo di promozione della legalità: «La comunità locale reagì con numerose forme di protesta, anche di risonanza nazionale, a fronte del concreto pericolo di esportazione del fenomeno mafioso nel proprio tessuto economico e sociale. Fu un evento epocale da cui iniziò la sensibilizzazione dell'opinione pubblica nazionale che portò poi al superamento del soggiorno obbligato per gli imputati di reati di mafia.

Infatti nel 1995 l'istituto è stato abrogato a seguito di referendum popolare».

La telefonata

In quella rovente estate di trapasso dalla Prima alla Seconda Repubblica, invece, vigeva ancora la norma del 1965 che prevedeva l'allontanamento coatto dal territorio in cui la criminalità organizzata esercitava il suo dominio. Diventata capoclan ad Afragola dopo l'omicidio del marito Gennaro Moccia, e per questo prima donna in Italia ad essere condannata per associazione mafiosa, a Signora venne mandata dalla Corte d'Appello di Napoli nel piccolo centro della Sinistra Piave ad aprile del 1993. «Ricevetti una telefonata il giorno prima direttamente da lei, che esigeva di essere sistemata in un alloggio adeguato: caddi dalle nuvole, e con me il sindaco Mario Gardenal, perché la Prefettura non ci aveva avvisati di nulla», racconta Filippo Piarulli, per un quarto di secolo segretario comunale di Codognè, all'epoca paese di 4.800 abitanti in cui vennero raccolte 2.300 firme nel giro di una settimana, destinate al presidente Oscar Luigi Scalfaro. Attorno alla culla della Liga Veneta, fra i primi vagiti del ribellismo politico-fiscale, sventolavano le bandiere oro e granata della Serenissima, venivano srotolati gli striscioni che inneggiavano alla "Repubblica del Nord", comparivano le magliette con lo slogan "Roma ladrona, la Lega non perdona". La indossava anche Fabio Padovan, allora parlamentare del Carroccio, nei 21 giorni di sciopero della fame e della sete in cui perse 18 chili, sotto la "tenda della libertà" piantata sulla Mutera. «Dalla collinetta alla chiesa, un corteo enorme si snodò per la strada a dimostrare che il popolo non rimaneva inerme di fronte alla mafia, dando prova di una capacità di reazione impensabile in altre aree», sottolinea Roberto Bet, oggi consigliere regionale e già primo cittadino di Codognè, che 17enne prese la tessera del partito proprio nel 1993, l'anno della prima elezione del suo mentore Luca Zaia come consigliere comunale della confinante Godega di Sant'Urbano.

Albergo e ristorante

Ai comizi in piazza il leader leghista Umberto Bossi arringava la folla sempre più furiosa, mentre il deputato democristiano Toni Cancian si adoperava per una soluzione legislativa al problema di ordine pubblico che chiamava direttamente in causa il ministro Nicola Mancino. «La situazione era complessa - rammenta ancora Piarulli -. Dovevamo gestire le pretese della "signora" Mazza, a cui non andavano bene i pasti e i pernottamenti che le avevamo trovato all'albergo "La Pergola", ma neanche quelli al ristorante "Da Checchino" e nell'abitazione di Cimavilla, le cui finestre vennero bersagliate dalle uova e dal fuoco dei facinorosi. Quella donna provocava me e il sindaco Gardenal: "Ma non vi vergognate a vivere in un posto del genere? Se volete vi ospito nella mia villa con piscina...". Chiaramente fomentava la polemica, perché puntava a tornarsene a casa, strumentalizzando il malcontento della gente. Ma intanto toccava a noi pagare: sia la Prefettura che il Viminale rispondevano picche alle nostre richieste di rimborso e i fornitori non ci facevano credito per un'ospite del genere. Quando ipotizzammo di metterle a disposizione il secondo piano del municipio, il Consiglio comunale si rivoltò e lei stessa si oppose. Si piazzava nel mio ufficio ogni mattina e seduta sulla poltrona mi intimidiva, dicendomi che sapeva dove abitavo e che avevo una bella famiglia... Il 26 maggio si barricò per quattro ore nel bagno, minacciando di buttarsi dalla finestra, tanto che fu necessario allertare i carabinieri, il Suem, i vigili del fuoco col materasso, dopodiché il sostituto procuratore di turno la convinse a desistere». Al che la 56enne, al cronista del Gazzettino che le chiedeva se avesse davvero voluto farla finita, ribatté con serafica noncuranza: «E quando mai?». Alle dimissioni del sindaco Gardenal, poi rieletto, seguirono gli analoghi propositi dei colleghi del circondario. Finché le commissioni Giustizia di Camera e Senato approvarono in sede legislativa, dunque senza necessità del voto in aula, la legge che dal 30 luglio 1993 modificò il soggiorno obbligato (successivamente cancellato nel 1995), prescrivendo che venisse scontato nel luogo di abituale dimora del presunto mafioso. Sei giorni dopo, la vedova nera della camorra tornò in Campania: «Sono vittima di quattro cialtroni, scemi e cretini, aizzati dalla Lega», dichiarò ai microfoni di Antenna 3.

Il messaggio

Ci saranno anche i filmati televisivi e gli articoli giornalistici, oltre che le foto di Pio Dal Cin, nella mostra che in autunno sarà promossa a Codognè, insieme a due convegni sulle infiltrazioni mafiose a Nordest e sul ruolo delle donne nella criminalità organizzata. Spiega la prima cittadina Lisa Tommasella: «Trent'anni fa la comunità civile e la classe politica hanno deciso di non subire le conseguenze di una legge ingiusta. È il messaggio che vogliamo lanciare soprattutto ai giovani in questi tempi di astensionismo: per cambiare quello che non va, è fondamentale l'impegno civico indicato dalla Costituzione». 

Ultimo aggiornamento: 12:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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