Marco Goldin è l'uomo dei record: «Per me contano le emozioni»

Lunedì 8 Maggio 2017 di Edoardo Pittalis
Marco Goldin è l'uomo dei record: «Per me contano le emozioni»
Lo chiamano l'uomo dei record: «Ma solo perché ho fatto diventare la mostra un fenomeno di massa». Lo accusano di tendere al kolossal: «Racconto storie di grandi artisti». Marco Goldin, trevigiano, nato nel 1961, in trent'anni ha organizzato più di 400 mostre; con la sua società Linea d'ombra ha esposto opere di 1.100 grandi dell'arte, richiamato 11 milioni di visitatori. Seicentoduemila biglietti staccati nel 2003 a Treviso solo per L'impressionismo e l'età di Van Gogh. Molti più di 300mila con quella appena chiusa sempre a Treviso, per tre mesi la più vista in Italia. Le sue mostre sono state anche cinque volte tra le dieci più visitate al mondo. Numeri che trascinano inevitabilmente polemiche e anche critiche. Ora si prepara a esporre a Vicenza 125 opere di Van Gogh, quasi un romanzo della vita raccontato per immagini sulle pareti splendide della Basilica palladiana.

Il quadro più inseguito e difficile?
«Sicuramente la Ragazza con l'orecchino di perla di Vermeer . Era in tournée prima in Giappone poi negli Usa, avevo cercato di portarlo in Italia. A dicembre del 2012 mi dicono che c'è una possibilità europea, dopo San Francisco, Atlanta e New York. Eravamo sotto Natale, mi hanno dato due settimane di tempo per decidere, ed è stata poi fatta a Bologna. Portare quel quadro in Italia è stato come vincere un oro alle Olimpiadi».

E quello più costoso da assicurare?
«Una tela gigantesca, di quasi quattro metri, del museo di Boston, di Paul Gauguin, dal lungo titolo: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?. È stata esposta solo due volte in Europa, a Parigi e nel 2011 a Genova nella mostra Van Gogh e il viaggio di Gauguin. Ha un valore di 300 milioni di dollari, ma ci ho costruito attorno una mostra da 400 mila visitatori».
Sognava da bambino di fare l'organizzatore di mostre?
«Macché! Pensavo al calcio, sono arrivato a sfiorare la serie C, ho giocato anche nel Treviso e nella Pievigina. Dapprincipio venivo schierato come centrocampista che faceva gol; poi nel ruolo di libero. In famiglia mi volevano medico, ma dopo un anno di Medicina ho seguito la vocazione letteraria e ho scoperto la critica d'arte grazie al professor Mazzariol che teneva lezioni straordinarie. Nel 1984 a Asolo, ancor prima di laurearmi, ho organizzato la prima mostra con opere di incisori e disegnatori della Marca Trevigiana del secondo Novecento».
Quanti libri ha scritto?
«I primi articoli li ho pubblicati sul Gazzettino. Poi, frequentando pittori e gallerie, il mio spirito battagliero ha trovato una sua canalizzazione. Le mostre hanno avuto tutte un catalogo, quindi più di 400 libri».
Ha scritto anche canzoni?
«Per Franco Battiato, Antonella Ruggiero, Tosca, Renga, Massimo Bubola. Per la Ruggiero ho scritto nel 2006 un intero album. Con Battiato ho lavorato sulle sue musiche per uno spettacolo dedicato alla Ragazza con l'orecchino di perla, canzoni poi cantate da lui, da Alice e da Francesca Michielin».
Calcio, canzoni, cataloghi, una società
«Linea d'ombra è nata quando avevo 35 anni, giusto l'età del capitano che, nel racconto di Conrad, sta per riprendere il mare perché è venuto il momento di lasciare le regioni della prima gioventù. Sono stato tra i primissimi in Italia a costituire una società indipendente in questo settore delicato. Non sono protetto, quando ti capitano le tempeste non puoi andare sotto l'ombrello di nessuno».
Perché tante critiche?
«Tutti specializzati nel parlar male di te quando non ci sei, poi quando ci incontriamo ti dicono Marco bravissimo. Mi diverto spesso a dire che sarebbe interessante che io e i miei critici facessimo un esame di storia dell'arte per saggiare la nostra preparazione. Critiche forse perché ho rovesciato il concetto di mostra che era un po' impolverato, forse perché l'ho fatta diventare un fenomeno di massa e i numeri destano sempre impressione. Ho sempre amato parlare alla gente, prima venivano ad ascoltarmi venti persone, oggi vengono anche in duemila, ma la passione è uguale. Resto una persona libera, non appartengo a una parte politica».
Qualche volta ha fallito?
«La nota vicenda veronese del 2008, con i capolavori del Louvre, la mostra che non si fece. Ne sono uscito, per fortuna, ma all'epoca un po' ammaccato. Fiorirono i retroscena. Dopo qualche anno sono però tornato a Verona, e con due mostre di grande successo».
Anche la cultura può trasformarsi in affare?
«Oggi il tuo rischio d'impresa deve sopperire a tutto ed è la grande novità. Non ci sono interventi statali, le Fondazioni sono in crisi, devi fare mostre che siano visitate perché quello è l'unico modo di far tornare i conti. Se hai un progetto di qualità e il prezzo giusto, la gente si sposta».
E il Veneto?
«È una regione all'avanguardia, è quella che fa il maggior numero di mostre. Venezia forse è quella con più difficoltà perché è una città in preda a un turismo disattento rispetto alle mostre. Anche se mi piacerebbe provare a capire se, lavorando come sono capace, si potrebbero riportare le code lunghe in Piazza San Marco. Ma non credo accadrà. A Treviso abbiamo appena rirovesciato, dopo 12 anni dalle precedenti mostre, le sorti della città che è stata invasa di turisti, e non solo nei fine settimana».
Cosa la colpisce di più per una mostra?
«L'emozione, questo sussulto che hai di fronte alle cose della vita e non devi lasciar cadere. Per questo come curatore cerco di costruire storie che abbiano ovviamente lo studio al centro, ma facciano passare soprattutto le emozioni. L'emozione è un linguaggio che è comune a tutti, al ricco e al povero, a chi ha letto l'intera Treccani e a chi non sa leggere. È un linguaggio universale, che non ha bisogno di traduzioni».
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Ultimo aggiornamento: 13:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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