Il giallo di Oderzo/ Il papà di Giuliana
accusa Simone: «Sono stato ricattato»

Mercoledì 19 Maggio 2010 di Luca Bertevello
Michele Favaro, con la foto di Giuliana nel taschino, insieme alla sorella e la madre (Photo Journalist)
TREVISO (19 maggio) - Lacrime e veleno. Quattro anni diluiti in quattro ore, con un corollario di accuse che dipingono Simone Moreira come non l’avete mai vista e come non l’avete mai conosciuta. Disordinata e imbelle almeno quanto feroce e vendicativa. La testimonianza di Michele Favaro, papà di Giuliana, la bambina morta annegata a Oderzo il 2 settembre dell'anno scorso, è stata fragorosa. E non solo per i contenuti, punteggiati da episodi talmente insani da apparire surreali.



Però va detta subito una cosa: al di là dell’ovvia suggestione suscitata da racconti accalorati, da pianti e singhiozzi, da un caleidoscopio di piccoli e grandi eventi che hanno intorbidito e poi spezzato i rapporti fra il 44enne di Salgareda e la modella brasiliana, ora imputata di omicidio volontario, dal punto di vista processuale non sembra una deposizione destinata a spostare troppo gli equilibri. Ampia, come era lecito attendersi, analitica e inevitabilmente intrisa di rancore, manca ancora del contradditorio, che è l’essenza stessa di un procedimento. In attesa che ciò accada, c’è un aspetto sul quale ci si può esprimere senza tema di smentita: l’infinito amore di questo papà per la sua bambina, osteggiato dalla madre che - secondo Michele - ha sempre usato la piccola per minacciarlo.



Dilungarsi nell’interminabile sfilza di aneddoti nei quali Simone avrebbe dato il meglio di sè per trarre vantaggi, con reazioni isteriche e del tutto fuori controllo, sarebbe quasi pedante. Valgano alcune considerazioni che Michele ha espresso più volte senza mai chiamare la Moreira col suo nome di battesimo: «Non ha mai voluto fare la mamma», «ho vissuto gli ultimi due anni subendo ricatti di ogni tipo» e «non l’ho mai denunciata perchè fino al 2 settembre era pur sempre la madre di Giuliana». In mezzo, scenate, percosse, devastazioni, come quella dell’appartamento, per non parlare di capricci e rappresaglie. E un male psicologico esercitato nei confronti della bimba che non è mai sconfinato in quello fisico. «Ma poi ho avuto paura che qualcosa del genere potesse accadere perchè l’ultimo fine settimana avevo spento il cellulare per trascorrere da solo con Giuliana i due giorni più belli della mia vita».



I rapporti della donna con l’altro figlio Lucas, 5 anni, in auto con lei la sera dell’8 agosto quando la modella chiamò il Brasile per dire a mamma Marcia che si sarebbe uccisa in autostrada col bambino, e piccole ma ripetute digressioni sul terrore che Giuliana aveva del buio e dell’acqua, hanno spianato la strada alla fase cruciale della testimonianza. Dalla telefonata delle 22.05 in cui Simone diceva di essere in ritardo, alla riunione a cui partecipò nel nuovo asilo di Giuliana. Dall’attesa snervante di non vederle arrivare mai, alla fuga a 140 all'ora verso Oderzo quando gli venne schiaffata in faccia l’atroce realtà. Dalle prime convulse ricerche nel Gattolè, ai chilometri macinati sull’argine. Dal ritorno verso il canale, alla nuova immersione nei pressi della chiusa. Dall’interminabile interrogatorio dei carabinieri, alla corsa in ospedale dove la bimba era stata ricoverata. Dalla speranza, all’incubo. Dall’incubo, alla catastrofe. Fino a quando Michele si è chiuso dentro la sala sterile con la figlioletta morta. E un’ora, un’ora in tutto, per dirle definitivamente addio.
Ultimo aggiornamento: 7 Aprile, 18:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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