Coronavirus, bar e osterie, tutti pronti per ripartire con plateatici più grandi

Mercoledì 22 Aprile 2020 di Elena Filini
Coronavirus, bar e osterie, tutti pronti per ripartire con plateatici più grandi
TREVISO C'è fermento tra bar, pizzerie, caffetterie e ogni altro tipo di attività legata alla ristorazione: per uscire da una crisi sempre più nera la richiesta è di poter tornare a lavorare. Il prima possibile ma rispettando le misure di sicurezza. E quindi con più spazio a disposizione per chi ha tavolini all'aperto, in modo da garantire le distanze minime. «In questi giorni - spiega Federico Capraro, presidente provinciale dell'Ascom - riceviamo un'infinità di proposte. Tutti i locali stanno ragionando su misure, distanze di sicurezza, ampiezza degli spazi pur di poter tornare a lavorare anche subito. Tutto giusto, ma prima dobbiamo attendere il decreto governativo. Il Comune però una cosa la può già fare: prorogare le misure prese a sostegno delle attività. Ringraziamo l'amministrazione perché ha sospeso tassa per i plateatici e altre incombenze. Ma non basta: questi provvedimenti devono essere prorogati». L'Ascom ha anche presentato una richiesta al Governo: «Da subito, dal 4 maggio, tutte le attività devono poter fare il servizio di asporto - spiega Capraro - non la consegna a domicilio. Ma l'asporto: il cliente che va a comprare i prodotti da consumare a casa. Deve essere concesso».

Poi la questione delle distanze di sicurezza: «Altro discorso per quando ci sarà il via libera alla riapertura il 18 maggio, anche se qualcuno già parla del 25, saranno le misure di sicurezza. Tanti bar non potranno ospitare più uno o due clienti alla volta: impossibile avere dei guadagni. I caffè costano un euro, non cento. Venderne uno all'ora è niente. Per questo motivo abbiamo chiesto al Governo di garantire una parte dei mancati incassi. Del resto ci siamo fermati perché obbligati per legge. Adesso abbiamo bisogno di aiuto».

L'ESPERIENZA
Plateatici ampliati per poter ripartire. Ma soprattutto per non negare al cliente l'esperienza del cicchetto in centro. «Il delivery bisogna saperlo fare. Per l'osteria la consegna a domicilio significa togliere l'anima al lavoro». Alessandro Arboit ha chiuso il Botegon il 10 marzo. Ha 12 dipendenti a casa in cassa integrazione. «Il nostro locale vive in pratica grazie al dehor. Oggi abbiamo 40 metri. Se le normative si confermano queste, abbiamo bisogno di salire ad 80 per lavorare garantendo sicurezza». Il locale corrisponde annualmente 6061 euro di tassa plateatico: «Durante l'emergenza il Comune ha sospeso la tassa ed è già un gesto importante. Certo, sarebbe fondamentale sapere che c'è la disponibilità a concederci maggiore spazio con una tariffa calmierata. Si, mi aspetto che il Comune ci dia una mano».

«PROTESTA INUTILE»
Tuttavia Arboit spiega di non condividere la protesta dei 140 esercenti che hanno polemizzato con il sindaco: «Guardo con interesse la loro battaglia, però sono perfettamente conscio che il Comune ha delle armi limitate, non possiamo pensare di chiedere la luna». I muri del locale icona di porta San Tomaso sono di proprietà dell'Israa. Che subito è intervenuta per alleggerire i gestori nel momento dell'emergenza: «Devo dire che sono stati molto tempestivi nel sospenderci il pagamento dell'affitto. Hanno dimostrato di capire le nostre difficoltà. Abbiamo anche chiesto una riduzione del canone, vedremo cosa ci diranno». Il vero scandalo, secondo Arboit ha un nome ed un cognome: «Si chiama Contarina. Noi paghiamo 6500 euro annui solo di immondizie. Tenuto conto del fatto che non facciamo secco e differenziamo il 99%. Una nota dolente perchè quelle tariffe sono sconvolgenti per noi. E ovviamente nessuna sospensione e nessuna apertura in questo senso ci è venuta dalla partecipata. Le bollette sono arrivate nei giorni scorsi come se nulla fosse. A dire il vero tutte le utenze. Ma queste sono davvero pesanti». Per questi motivi Arboit si dice più preoccupato per la riapertura con le distanze rispetto alla chiusura: «Sarà tutto da ripensare. Ma bisogna farlo con ponderatezza. Non è solo una questione di metri, il cliente va al bar per consumare del tempo e delle emozioni. Questo tipo di precauzione, intendo le distanze e tutti i dispositivi di sicurezza, toglie il significato di andare in un locale pubblico. Voi lo berreste il prosecco con la mascherina? Bisognerà trovare delle soluzioni che non snaturino il rito dell'aperitivo. Siamo pronti al confronto. Ma abbiamo bisogno del sostegno del Comune: siccome la riapertura avverrà soprattutto all'esterno, è necessario uno spazio maggiore».
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