Cercò di uccidere la moglie, chiede la semilibertà. La donna: «Mi ha massacrato, ora ho paura»

Sabato 20 Febbraio 2021 di Denis Barea
Gianangela Gigliotti
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CONEGLIANO - Undici anni, un mese e 15 giorni di reclusione. Una lunga detenzione che potrebbe finire presto se gli verrà accordato il regime di semilibertà. Il 2 marzo il Tribunale di Sorveglianza esaminerà la richiesta di Stefano Rizzo e del suo legale, l’avvocato Lorenza Secoli, di godere dei privilegi previsti dalla legge. Ma l’ex moglie Gianangela Gigliotti, che tentò di uccidere, è inquieta: «Ho paura.

Mi rammento ogni giorno quello che è successo, lo ricordo come fosse oggi».


LA VICENDA
Il sessantenne la sera del 24 luglio del 2013 aggredì e tentò di uccidere la ex moglie; entrò nell’appartamento di via Vecchia Trevigiana a Parè di Conegliano da una portafinestra lasciata aperta e iniziò a colpire la Gigliotti, dipendente amministrativa dell’Usl 7, con una roncola. Fendenti al collo, alle braccia e alla schiena sferrati con violenza, tanto da tranciare di netto alla vittima tre dita della mano. La donna, che rischiò di morire dissanguata, venne ritrovato 20 minuti dopo l’aggressione dal figlio. Rizzo nel frattempo si era dato alla fuga. Raggiunse la foce del Piave, a Cortellazzo, gettò l’auto aziendale nel fiume e inscenò un suicidio. Poi, con una bici rubata, raggiunse San Donà, vagando senza meta. Dopo quattro giorni di latitanza venne arrestato a casa della madre ad Arcade. Rizzo, che in un biglietto lasciato alla nuova compagna, da cui aveva avuto un figlio, aveva di fatto confessato il tentato omicidio - «Mi sono tolto un peso e l’ho fatta fuori» era scritto nel messaggio - ha trovato oggi un lavoro in un a cooperativa. Il regime di semilibertà prevederebbe l’uscita dal carcere in orario diurno e il ritorno dietro le sbarre la sera.
LA REAZIONE
«Non dovrei dirlo - dice Gianangela Gigliotti, che rimase tetraplegica a seguito dell’attacco dell’ex marito - ma il fatto che lui sia fuori dal carcere mi mette un po’ di inquietudine. Anzi, chiamiamola proprio paura. Vorrei dire che a lui non penso, che non mi può più fare del male, che adesso c’è la mia nipotina (la primogenita del figlio 29enne che ha acquisito il cognome della madre e che Stefano Rizzo chiama “ex figlio”, nda) a darmi gioia, una felicità che lui non potrà mai provare. Ma non è del tutto vero: sono in sedia a rotelle, ho bisogno di essere assistita giorno e notte perché da sola non ce la faccio. La mia condizione mi rammenta ogni giorno quello che è successo, che io ricordo in maniera vivida come se fosse oggi». «Mi hanno detto che è un suo diritto - continua - e chi sono io per oppormi alla legge? Mi sono spesso chiesta cosa pensare di persone che compiono delitti di questa efferatezza. Sarebbe giusto che pagassero, fino alla fine, senza sconti, senza benefici. Ho saputo che avrebbe trovato qualcuno disposto a darli un lavoro, a ricominciare. Beh... Io ricomincerò a chiedergli quei soldi per cui sono stata brutalizzata, i soldi che mi doveva dopo la sentenza del Tribunale Civile e per i quali ha tentato di uccidermi. Quei soldi che mi sono stati riconosciuto come diritto in sede di risarcimento. Mica per il denaro in sé, è una questione di principio. Cento euro al mese, tutto qua».

Ultimo aggiornamento: 10:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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