Carlo Nordio: «La felicità esiste, il diritto più sacro è poterla cercare»

Dalla politica alle passioni di sempre, il ministro della Giustizia si racconta «L’invidia sociale è il veleno più temibile: per questo chiunque dovrebbe essere in grado di assecondare i propri talenti naturali»​

Giovedì 15 Giugno 2023 di Paolo Graldi
Carlo Nordio: «La felicità esiste, il diritto più sacro è poterla cercare»

TREVISO - Approda oggi a Palazzo Chigi il primo di tre pacchetti della “sua” Riforma della Giustizia.

Un ddl sul quale si aprirà un ampio e prevedibilmente aspro dibattito. Se ne discuterà dunque molto e a lungo in Parlamento. Qui incontriamo il personaggio Carlo Nordio, ex magistrato, scrittore, editorialista, uomo di cultura, Nordio intellettuale, lasciando per un momento da parte il suo ruolo di ministro della Giustizia. È la sua visione del mondo, della giustizia, dei valori, dei principi fondanti che dal colloquio emerge con ragionata nettezza. Nel suo studio, un’ampia sala al primo piano di via Arenula, sede del ministero, il ministro Guardasigilli apre la porta del suo mondo privato, accetta di disvelarsi. Ne viene fuori una specie di breve lectio magistralis. Utile a comprendere anche il resto.

Berlusconi lei lo conosceva bene?
«Abbastanza bene. Abbiamo avuto in tutto una quindicina di colloqui prima e durante questo mio mandato e sempre sui temi della giustizia».

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C’era stata un’esperienza già prima?
«Berlusconi mi aveva chiesto vent’anni fa se poteva candidarmi alla Corte Costituzionale perché sapeva che ero un garantista. E io risposi “Domine non sum dignus”, ma sarei stato disponibile. Poi, il Parlamento ha scelto un altro candidato».

Con il suo impegno di governo, le rimarrà poco tempo libero. Che cosa ne fa?
«Ritorno nella mia amata Treviso. Leggo e cerco di fare un po’ di sport».

Esiste un personaggio al quale si è ispirato?
«Politicamente parlando Churchill, filosoficamente Pascal».

Qual è la più bella parola che le viene in mente?
«È una frase di Pascal “Tutto rispetto al nulla e nulla rispetto al tutto”».

E la parola più brutta?
«Invidia».

La qualità che apprezza di più negli altri? 
«Il coraggio».

Che cosa disprezza nei comportamenti del prossimo? 
«La viltà».

Quali compositori troviamo nel suo concerto ideale?
«Mozart di pomeriggio, Beethoven la sera e Bach di notte».

Qual è il libro della sua vita?
«I Pensieri di Pascal».

C’è un gioco al quale le piace giocare?
«Non gioco a nessun gioco».

Neanche uno sport?
«Nuoto molto. Montavo a cavallo, fino a due anni fa, quando mi è morto con il Covid. Adesso temo di non essere in grado di prenderne un altro per ovvie ragioni. Il cavallo mi manca molto perché andavo con mia moglie Maria Pia in campagna a fare le passeggiate la domenica».

I cinque comandamenti che hanno guidato la sua vita.
«Prima di tutto il coraggio: di portare avanti le proprie idee, di sostenerle costi quel che costi. Poi l’indulgenza benevola verso i difetti altrui. La necessità di essere curiosi. La dotta ignoranza: sapere di non sapere. Mai da ultimo la Pietas Cristiana».

La sua scala degli affetti.
«Ovviamente la famiglia, mia moglie Maria Pia, l’amore di una vita. Poi, le grandi figure del passato, soprattutto quelle che hanno fatto del bene all’umanità anche se sono morte. Penso nella bontà a Madre Teresa e nella politica a uno come Churchill che ha salvato la libertà occidentale. E poi gli animali: io sono un gattaro».

Nella sua carriera, le è mai accaduto di dover constatare amaramente che la legge non è uguale per tutti?
«Sì, molte volte non lo è, perché il patrimonio di sofferenza, parlo della legge penale che subisce l’imputato, non dipende solo dalla legge, ma dipende dalla qualità dell’imputato. Un’informazione di garanzia mandata a un pluripregiudicato non provoca la stessa sofferenza di una mandata a un sindaco o a un giornalista. Quindi la legge, che è uguale per tutti, non ha conseguenze uguali per tutti».

Il veleno più temibile per la società?
«L’invidia sociale».

Ci sono veleni nella società ai quali è possibile adottare degli antidoti?
«Sì, favorire il più possibile le opportunità delle pari condizioni di partenza cioè favorire i talenti naturali quando non possono essere assecondati per esempio dalla tua estrazione economico sociale. Come dice la Costituzione americana non assicurare la felicità, che è impossibile, ma la ricerca della felicità». 

E lo fa abbastanza?
«No, non lo fa abbastanza. Perché? Perché la meritocrazia rischia sempre di più di essere considerata un difetto e non un principio da assecondare».

C’è una frase di Corrado Alvaro “La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile”. È inutile?
«No. Essere onesti è necessario, ma non è sufficiente. Parlo da politico: occorre avere come diceva Gibbon “il cervello per comprendere, il cuore per risolversi e il braccio per eseguire”. Aiuta quindi essere onesti sì, ma se uno è onesto ed incapace resta incapace».

Le leggi spesso sono incomprensibili, soggette a tante interpretazioni. Come riparare?
«Bisognerebbe fare una bella immersione negli illuministi francesi da Voltaire a Diderot: prima avere le idee chiare e poi saperle tradurre in uno stile chiaro e distinto».

Come ha affrontato i dolori inevitabili dell’esistenza Carlo Nordio?
«Ho avuto una vita relativamente fortunata, senza grandi tragedie, salvo quelle naturali di perdere i genitori, ma tutto secondo le regole della natura e i momenti più difficili, essenzialmente con l’arte, la filosofia».

La felicità esiste o è un luogo comune?
«Io credo che esista. Ho conosciuto persone di una felicità assoluta. Penso a una badessa del monastero di clausura che io frequentavo e che secondo me rappresentava la persona più felice del mondo, anche se viveva in modo frugale. La felicità è una categoria formale. Io credo che esista solamente come una cornice che va riempita, ognuno a modo suo».

Ci sono personaggi nella storia che ammira particolarmente?
«Churchill. In assoluto il numero uno».

Perché proprio lui?
«Perché è stato l’ultimo grande rinascimentale. Amava la libertà, il coraggio e ha scritto la storia tanto bene quanto l’ha fatta, Premio Nobel della letteratura. I suoi Great Wars Speeches valgono La decadenza dell’Impero romano di Gibbon. Sono tra le pagine più belle della letteratura del Novecento. Ed era un uomo che amava la vita, amava bere, fumare. È stato uno degli ultimi a cavalcare contro i Dervisci».

Studiare la storia aiuta a capire i nostri giorni?
«È essenziale. Non puoi capire il presente né immaginare il futuro se non hai una buona conoscenza del passato».

Perché non raccogliamo le lezioni che la storia ci dà?
«Primo, perché pochi studiano la storia. Secondo, perché la presunzione dell’uomo è tale per cui si pensa sempre di essere creativi nella novità, quando in realtà i fenomeni sono più o meno sempre gli stessi».

Che cosa una società non dovrebbe tollerare?
«L’intolleranza».

Il sentimento più vicino al suo carattere?
«L’indulgenza».

Che cos’è che la fa ridere e che cosa la fa arrabbiare?
«La stessa cosa, la stupidità».

Ha mai pensato di tirare i remi in barca, dicendosi adesso non ne posso più?
«Io ho finito la mia carriera di magistrato per ragioni di età. Ho vissuto cinque anni da gentiluomo a riposo, leggendo, scrivendo per i vostri giornali e mi manca soprattutto la pagina culturale. E poi sono stato catapultato nella politica. Cerco di fare del mio meglio».

Che cosa la soddisfa di più del suo attuale mestiere e che cosa le pesa di più?
«Mi soddisfa di più l’ambizione di portare a termine le mie riforme garantiste. Pesa di più un ritmo e anche un tipo di lavoro completamente nuovo, sia dal punto di vista politico che da quello di organizzazione e direzione di una struttura enorme come un ministero. Per fortuna ho uno staff eccezionale. Però, diciamo, che la mente ci lavora sempre, anche quando stai nuotando pensi sempre che sei il Ministro della Giustizia».

Qual è il male più grave che affligge la nostra giustizia? Ed è curabile?
«Sono due mali: uno è la lentezza e l’altro è l’incertezza del diritto. Sono entrambi curabili».

Le sarà certamente accaduto di avere un progetto che non si è realizzato, come è accaduto?
«Due progetti. Primo sarebbe stato di fare il chirurgo. Ma sono pato-fobico, non sopporto vedere gli altri che soffrono, quindi sarei stato un pessimo medico. E poi il secondo: mi sarebbe piaciuto fare il direttore d’orchestra, ma ho smesso di suonare il violino a 16 anni».

Le è accaduto di ricevere una critica che l’ha ferita ritenendola ingiusta o addirittura falsa?
«Molte volte come magistrato, ma l’ho messo in bilancio».

E come ministro?
«Anche, l’ho messo ancora di più in bilancio».

Qual è il dovere inderogabile della politica?
«Mirare all’interesse collettivo».

Ce la facciamo?
«Ce la mettiamo tutta».

In cinque parole chi è davvero Carlo Nordio?
«Un accanito lettore che più accresce il sapere e più aumenta il dolore, come dice l’Ecclesiaste».

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