Camilla Tibaldo è nella cinquina del Campiello giovani

Martedì 27 Aprile 2021 di Elisabetta Zanchetta
Camilla Tibaldo, 21 anni, di Trecenta

PREMIO CAMPIELLO - A 21 anni, Camilla Tibaldo, è entrata nei cinque finalisti del premio “Campiello giovani”. Nata a Trecenta, dove vive, dopo essersi diplomata al liceo classico Celio di Rovigo, attualmente studia lettere classiche all’università di Padova ed è allieva della Scuola Galileiana di Padova. Alle spalle ha già diversi concorsi letterari per la poesia inedita - InediTo, Europa in Versi, Ossi di seppia, Le Occasioni - dove si è sempre classificata. Come è nata la sua passione per la scrittura? 
«Difficile dire. Per il protagonista del mio racconto è più facile stabilire un quando, un momento in cui la vocazione alla poesia lo risveglia e desta in qualche modo la grande domanda sul futuro, su quello che lui potrebbe essere destinato a diventare una volta e per sempre; sente il peso di questa domanda in un giorno qualunque del liceo, quando avverte un senso di profonda inquietudine e capisce semplicemente che dentro di sé c’è qualcosa che chiede parola e che ha la pretesa di emergere in tutta la sua evidenza, anche in tutto il suo dolore». 
SCRITTURA E PASSIONE
Quindi il racconto è autobiografico? «Ho descritto così questo momento perché ne ho trovate significative affinità a quando anch’io ho avvertito questa grande assenza. Non saprei definire un giorno, un momento, forse definirei un periodo e direi che potrebbe essere stato quello del liceo, è il momento in cui tutto è categorico, imperativo, senza scampo, ogni domanda ha in sé una pesantezza da fine del mondo, c’è quella pretesa del “no per sempre” e del “mai più” di Fortini, e penso che lì sia arrivata anche la poesia, quando l’esperienza non sapeva darsi da sé il significato necessario, ma lo esigeva».
È tra i cinque finalisti del premio “Campiello giovani”. Cosa si prova? «La notizia è arrivata inaspettata e mi ha colto con sorpresa. Ho confinato spesso la scrittura personale alla poesia e questo racconto era nato con la convinzione che sarebbe stato un’eccezione, una prosa al limite tra un racconto e una riflessione sulle possibilità per un giovane poeta di scrivere oggi, di trovare uno spazio di condivisione libera e fertile, in cui sentire accompagnato e voluto il percorso della propria crescita. Oggi non penso più che questo racconto rimarrà isolato e, pur sentendo una tensione più forte per la poesia, non escludo che la prosa possa tornare nei miei taccuini». 
IL RACCONTO 
Il racconto si intitola “La somiglianza”. Cosa significa?
«Prende ispirazione da una poesia di Milo De Angelis, in cui il poeta scrive “la somiglianza era noi - nell’immagine di un altro”, e parla proprio di questo tentativo da parte di un giovane, Carlo, di rispondere al senso di mancanza che avverte rispetto alla pienezza del secolo precedente cercando se stesso nell’altro, nella figura del maestro con cui intraprende una corrispondenza all’ultimo sangue». 
Cosa pensa Carlo guardando al passato? «Si guarda indietro e di quel Novecento, saturo di ogni già scritto, porta con sé soltanto una tensione alla grandiosità, un desiderio di totalità che non riesce a vivere e a concretizzare e che lo trasporta in uno stato di solitudine integrale. Il Novecento diventa ai suoi occhi il secolo dei grandi Maestri, è il tempo di Fortini e della parola impegnata, della decostruzione della neoavanguardia, ma anche il tempo della lirica, dell’assoluto della poesia di Campana, del mito di Pavese e lui, così giovane e innamorato della poesia, si chiede quale sia il suo posto ora, che fine abbiano fatto i grandi padri». 
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Ultimo aggiornamento: 08:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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