Luca Zaia: «Il nostro lungo anno in trincea. Una guerra, ma torneremo liberi»

Venerdì 19 Febbraio 2021 di Alda Vanzan
«Il nostro lungo anno in trincea Una guerra, ma torneremo liberi»

Osannato, tormentato, attaccato e minacciato: la prima linea del governatore da 365 giorni in tv per informare «Ne usciremo con valori diversi. Il Veneto galopperà, a partire dal turismo: per fortuna abbiamo le Olimpiadi».


Luca Zaia

Confida: «Io le responsabilità le porto in faccia». È come se la sua pelle somatizzasse lo stato d'animo.

La preoccupazione di far fronte a un'emergenza mondiale, l'angoscia di dover contare ogni giorno i morti, il sollievo di verificare la bontà di certe scelte, la rabbia per attacchi e minacce personali. Luca Zaia lo ammette: «Da un anno sono in trincea. Come si vive? È una non vita». È l'unico governatore di Regione che, pressoché quotidianamente, si presenta davanti alle telecamere e in diretta tv e social aggiorna con i cartelli il bollettino dei contagi. L'hanno imitato, preso in giro, attaccato, contestato. Ma anche amato. A settembre l'hanno rieletto a furor di popolo. L'hanno osannato quando, nella prima fase della pandemia, il Veneto era indicato come un modello nazionale. Poi, quando la regione è diventata il lazzaretto d'Italia, non gliene hanno risparmiata una. E ciò nonostante, tutti i giorni, a mezzogiorno e mezzo, ha continuato a entrare nelle case dei veneti.


Presidente Zaia, chi glielo fa fare?
«Lo so, sono arrivati ad accusarmi di speculare, hanno detto che andavo in tv per la campagna elettorale. Ma per me è un atto di civiltà, i miei veneti sono i cittadini più informati d'Italia sul coronavirus. Pensate che per me e per l'assessore Manuela Lanzarin sia stato facile presentarsi tutti i giorni, anche quando i bollettini erano disastrosi? Ci ho perso il sonno e lo dice uno che non è mai stato un dormiglione. Non è stato un anno facile. E ne avremo ancora».


Immaginava che dodici mesi dopo saremmo stati ancora in mezzo alla pandemia?
«No. Prima del 21 febbraio 2020 eravamo come una comunità prima del bombardamento, tutte le nostre libertà erano garantite. Freud dice che l'uomo è la specie animale più adattabile che ci sia. Cavoli se aveva ragione! Oggi è diventato normale avere la mascherina, farci il tampone, avere il coprifuoco, non uscire di regione, non darci più la mano».


21 febbraio 2020, metà pomeriggio, lei è a Treviso, la chiamano e le dicono che in Veneto c'è il primo caso di coronavirus, di lì a poche ore avremmo avuto il primo morto di Covid in Italia, Adriano Trevisan. Quante volte ha rivissuto quei momenti?
«Non cancellerò mai dalla mia mente quella telefonata. Quello che poi ho fatto lo sapete. Ho ripensato agli studi che avevo fatto sui virus, ho deciso di ricorrere al cordone sanitario. Chiudere l'ospedale di Schiavonia, fare il tampone a tutti gli abitanti di Vo', mettere le tende riscaldate all'esterno di ogni ospedale. Se penso che a Padova, alla riunione della task force convocata d'emergenza sulla base del piano redatto già a gennaio dalla dottoressa Francesca Russo, eravamo in quindici in una stanzina, tutti attaccati, tutti senza mascherina! Oggi sarebbe impensabile».


Un anno fa era impensabile anche proporre la quarantena. Con i cinesi di rientro in Italia doveva essere più duro?
«3 febbraio 2020, finisce il Capodanno cinese e al ministro alla Salute Roberto Speranza dico: guarda che stanno tornando tanti bimbi cinesi, mettiamoli in quarantena. Mi hanno dato del razzista».


Con chi ce l'ha?
«La cosa che più mi ha ferito in questi mesi è la comunità scientifica che ci sta omaggiando di uno spettacolo indicibile, scienziati contro scienziati, basta vedere l'ultimo dibattito sul lockdown».


C'è qualcosa su cui non sorvolerà?
«Quelli che hanno vissuto delle difficoltà del Veneto, mentre la gente moriva, non li perdonerò mai. Quando dici che i numeri dei contagi e dei ricoveri sono stati taroccati per restare in zona gialla, beh, ne risponderai in Procura».


Se ne verrà fuori?
«Dipende dalla quantità di vaccini che riusciremo a fare. Se fossimo come Israele, tutti vaccinati, non avremmo più il problema o sarebbe minimale».


Caso Veneto: un modello durante la prima fase della pandemia, un lazzaretto tra ottobre e Natale, adesso una situazione quasi rosea. C'è una spiegazione?
«I colori - giallo, arancione, rosso - non c'entrano. È la natura che ha il suo sfogo, la curva sale, sale, sale e poi viene giù. O ti isoli, modello Wuhan, oppure cerchi di proteggerti con mascherine, distanziamento, igienizzazione. Un altro lockdown? La comunità scientifica deve piantarla di proporre robe se non sono supportate da studi seri. Se hai una unghia incarnita, curi l'unghia o tagli la gamba? Ma vi ricordate le accuse che mi avevano rivolto a dicembre? Che se non avessi fatto il lockdown avremmo avuto la devastazione per tutta la primavera».


C'è qualcosa che non rifarebbe?
«Errori se ne fanno sempre, solo chi sta in divano non sbaglia. Dico solo che tutto quello che ho fatto, l'ho fatto col cuore».


Adesso è tacciato di immoralità perché sta cercando i vaccini. Si sente un uomo immorale?
«Eravamo immorali quando andavamo in Svizzera a comprare un camion di respiratori? O in Olanda per una macchina per fare i tamponi? Questo è un Paese basato sull'invidia: se trovi i vaccini ci guadagni o devi far guadagnare qualcuno. Dopodiché è vero che ho colleghi che fanno i compitini per casa e mai nessuna Procura chiederà loro conto. Ma per me vengono prima i veneti, mi ritengo un servitore di questo popolo, lo faccio per amore e perché credo che questo sia un popolo unico al mondo. Non ci rendiamo neanche conto di quello che abbiamo, dalle montagne a Venezia, dal Lago di Garda al Delta del Po. A Dubai 200 chilometri in macchina li fai solo in mezzo alla sabbia».


Ha paragonato la pandemia a una guerra. Dopo le bombe quale sarà la ricostruzione?
«Intanto ne usciremo tutti con una percezione valoriale diversa, ritroveremo il senso di libertà, il respirare senza mascherina. Poi, è chiaro che dovremo rivedere le programmazioni: la sanità dovrà essere rivoluzionata, una volta si progettavano ospedali come dei centri commerciali con il giornalaio, il parrucchiere, la pasticceria, mentre io sono della corrente del brutalismo: un ospedale può essere un parallelepipedo, lo puoi anche far durare poco, 25 anni, e poi buttare giù, ma il futuro è l'ospedale senza letti, perché con la tecnologia e l'intelligenza artificiale l'ospedalizzazione calerà».


Il Veneto dovrà ripensarsi o la prima industria resterà il turismo?
«Al netto della tecnologia e dei cambiamenti, il Veneto è turismo. Ci aspettiamo risorse dal Recovery Plan. Ma dico: fortuna che abbiamo le Olimpiadi, un evento mondiale subito dopo il Covid, con i riflettori puntati da ogni dove. Io sono fiducioso, il Veneto galopperà. Siamo la regione del fare. C'è un problema? In Veneto c'è anche la soluzione».

Ultimo aggiornamento: 11:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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