Luca Zaia: «I miei due mesi in guerra: non dormo, ma rifarei tutto»

Martedì 21 Aprile 2020 di Alda Vanzan
Luca Zaia
3

Il 21 febbraio 2020 scoppia l'emergenza coronavirus in Veneto. Due contagi a Vo', Adriano Trevisan è la prima vittima in Italia. Due mesi dopo i morti sarebbero stati 1.112.
Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, cosa ricorda di quel giorno?
«Era il tardo pomeriggio quando mi hanno avvisato: Abbiamo due contagiati di coronavirus. Ho pensato: adesso inizia la guerra. E contro un nemico sconosciuto. Avevo letto molto su quello che era successo a Wuhan. Ho girato l'auto e sono andato a Padova dove, grazie al piano che avevamo predisposto per tempo, si era riunita la task force. Le prime tre decisioni le ho prese io: fare i 3mila tamponi a Vo, nonostante le linee guida dicessero che non erano da fare; chiudere l'ospedale di Schiavonia; montare le tende fuori dagli ospedali. Azioni che si sono rivelate corrette, ma che in quel momento sono state contestate; c'è stato addirittura chi ha invocato la Corte dei conti».
Chi le aveva parlato dei tamponi?
«La dottoressa Francesca Russo, responsabile della nostra Prevenzione, a gennaio aveva preparato un piano di sanità pubblica e lì aveva previsto i tamponi. È stata la dimostrazione che eravamo sul pezzo, come poi mi avrebbe detto il professor Crisanti. Non lo conoscevo, è stato lui a chiamarmi una settimana prima che finisse la quarantena di Vo' proponendomi di finanziare altri tremila tamponi. Abbiamo evitato una bomba di contagio».
Cos'è mancato nella fase iniziale?
«Le indicazioni. In due mesi siamo passati dalla cura della polmonite interstiziale ai trombi nei polmoni, dall'antivirale al cocktail di farmaci: ma tutti gli scienziati che hanno studiato il caso Wuhan perché queste cose non ce le hanno dette? O i cinesi hanno occultato le notizie o qualcuno non si è informato».
C'è stato un momento in cui ha pensato: non ce la faremo?
«Soffro abitualmente di insonnia, ma non era insonnia quella di prima rispetto ad ora. Il nostro modello matematico era inquietante: senza le restrizioni, a metà marzo avremmo avuto 600 persone in terapia intensiva».
C'è qualcosa che si rimprovera?
«Davanti all'epidemia che esplode in Cina, partirei subito con i nostri scienziati, i nostri virologi, spedirei una task force per pianificare un piano di azione».
Cosa rifarebbe?
«I tamponi a Vo'. Anche se siamo in un Paese nel quale è più facile andare nei guai se fai qualcosa per il bene della tua gente che se non fai niente. La tragedia dovrebbe insegnarci a non vedere ladri dappertutto».
A chi si riferisce? Cittadini o politici?
«La critica dei cittadini va compresa, accompagnata, informata. Ma alcuni comportamenti di rappresentanti delle istituzioni - gli attacchi per i tamponi, le allusioni a commissariare la sanità - sono imbarazzanti. Per fortuna tra istituzioni, con responsabilità, si è fatto gioco di squadra».
Case di riposo, 375 morti, alcune strutture con zero contagi, altre diventate lazzaretti: fortuna o gestione?
«Ci sono molti fattori da valutare».
Com'è cambiata la sua vita in questi due mesi?
«Radicalmente. Parto presto la mattina, arrivo a Marghera, tribolo per parcheggiare, riunioni e teleconferenze, sento subito i direttori delle Ulss. La sera mangio sempre a casa, mia moglie cucina molto bene».
Ingrassato?
«Mi sono trattenuto. Niente dolci, controllo i carboidrati. E se riesco tre sere alla settimana faccio un'ora attorno a casa camminando».
La cosa che l'ha più ferita?
«Quando ho sentito alcuni dire che abbiamo una responsabilità sulle morti nelle case di riposo, che non abbiamo».
La cosa che l'ha fatta più felice?
«Vedere la curva dei ricoverati che scende, finora ne abbiamo curati 3500. C'è un video che mi ha commosso, un anziano che dopo 18 giorni torna a casa, scende dall'ambulanza, un boato di applausi dai condomini. Un applauso che va dedicato a tutto il mondo sanitario, ma va anche detto che noi avevamo preparato una sanità reattiva per i tempi di guerra, dalla ricetta dematerializzata ad Azienda Zero. Chi diceva che favorivamo i privati deve solo vergognarsi».
Frasi infelici: «Abbiamo tutti visto i cinesi mangiare topi vivi».
«L'esposizione è stata fatta frettolosamente, ero all'interno di un tg e la fretta mi ha giocato contro. Volevo parlare del salto di specie del virus e del fatto che solo qualche giorno prima in Cina era stato vietato il consumo di animali selvatici. Autorevoli esponenti politici e scienziati l'hanno detto dopo di me e nessuno si è scandalizzato».
Come sarà la Fase 2?
«Deve essere responsabile e informata, perché conviveremo con il virus. E la mascherina sempre, dovremo ricordarci che la morte è dietro l'angolo».
Le mascherine della Regione sono sicure o no?
«Se servono? Certo, sono certificate. I marchi della Regione e di Grafica Veneta ho voluto farli mettere io: non vorrei mai che qualcuno le vendesse, avevo detto all'epoca. E tranne forse una volta, io uso solo quelle. Ad oggi sono negativo e non penso di fare una vita poco rischiosa». 
Niente elezioni a luglio. Al di là della data, pensa che vincere per lei sarà una passeggiata?
«Per gli impegni che ho oggi, non sto pensando né a candidature né a campagne elettorali né a coinvolgimenti di nessun tipo. Come dicevano i vecchi, i problemi si affrontano come il salame: una fetta alla volta».
Alda Vanzan
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimo aggiornamento: 11:49 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci