Dispositivi medici, l'ira dei fornitori: «A rischio 4.500 piccole imprese»

Martedì 18 Aprile 2023 di Angela Pederiva
La manifestazione di Roma

VENEZIA - Mancano due settimane alla scadenza del "payback". Entro fine mese i fornitori di dispositivi medici dovranno saldare il conto da 2,2 miliardi in Italia, di cui 231 milioni in Veneto, che è stato presentato loro dalle Regioni, come compartecipazione allo sforamento della spesa rispetto al tetto fissato dal ministero della Salute. Palazzo Chigi ha stanziato i fondi per coprire metà della cifra, a patto però che le aziende rinuncino alle azioni giudiziarie già avviate: una condizione rifiutata dagli imprenditori, che ieri sono scesi in piazza a Roma lanciando l'allarme per la tenuta di «4.500 ditte e 112.000 addetti», proprio nelle ore in cui il Tar del Lazio ha pubblicato una raffica di ordinanze che accolgono le loro richieste di accesso agli atti.

IL MECCANISMO
Sono 2.170 le imprese coinvolte in Veneto, uno dei territori maggiormente indebitati insieme a Toscana, Emilia Romagna, Piemonte e Puglia, mentre l'alta percentuale di sanità privata ha finito per proteggere i bilanci di Lombardia, Lazio e Calabria.

Nel mirino del meccanismo ci sono infatti gli acquisti di strumenti come bisturi e garze, aghi e pacemaker, da parte delle aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche. Tutto comincia nel 2011 (governo Berlusconi), quando una legge statale stabilisce che l'esborso affrontato dal Servizio sanitario nazionale debba rientrare entro un limite fissato annualmente da un decreto ministeriale, ponendo l'eventuale superamento a carico delle Regioni interessate. Dopodiché nel 2015 (governo Renzi) un'altra disposizione sancisce che una parte dello sfondamento venga sostenuta dalle ditte venditrici: il 40% per l'anno 2015, il 45% per il 2016 e il 50% a partire dal 2017. Questa norma rimane sulla carta per anni, a causa della mancanza dei decreti attuativi. Finché nel 2022 (governo Draghi) il decreto Aiuti Bis definisce le regole per la compartecipazione dei privati allo sforamento. Di conseguenza le Regioni assumono i rispettivi provvedimenti entro il 15 dicembre, dando 30 giorni di tempo ai loro fornitori per pagare il dovuto. Con il decreto Bollette, alla fine il governo Meloni rinvia la scadenza al 30 aprile, oltre a reperire 1,1 miliardi per attutire il colpo.

IL SETTORE
Ma la misura non basta alle aziende associate a Fifo Sanità Confcommercio e Pmi Sanità, che ieri hanno invaso piazza della Repubblica gridando slogan come «Stop payback» e agitando cartelli a forma di bara: «Non vi cureranno più», «Payback sanitario, esproprio di Stato alle Pmi», «Italia, il Paese in cui le imprese falliscono grazie a una legge ingiusta e folle», ritenuta «inapplicabile e insostenibile per il settore della distribuzione dei dispositivi medici, rappresentato soprattutto dalle piccole e medie imprese che sono il 94%». L'avvertimento di Massimo Riem, presidente di Fifo: «Mancheranno stent, valvole cardiache e dispositivi salvavita. Una cosa indegna per un Paese civile». La sollecitazione di Gennaro Broya de Lucia, leader di Pmi: «Adesso è il momento di agire. Basta con le scuse, basta giocare con le nostre vite e le nostre libertà». Dicendosi anche «delusi» e «arrabbiati» per non essere stati ricevuti dal ministero dell'Economia, i manifestanti hanno pure contestato la richiesta del Governo di ritirare i ricorsi al Tar in cambio dei fondi: «Questo toglierebbe l'ultimo pilastro di protezione alle aziende».

I DOCUMENTI
Proprio il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, intanto, ha ordinato alle Regioni di mostrare alle aziende i documenti «certamente necessari ai fini della difesa in giudizio». I primi pronunciamenti depositati riguardano contenziosi in cui risultano costituiti anche il Veneto e il Friuli Venezia Giulia.
 

Ultimo aggiornamento: 17:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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