Il Tar del Veneto condanna il ministero della Giustizia a pagare i detenuti-lavoratori

Martedì 21 Marzo 2023 di Angela Pederiva
Il Tar del Veneto condanna il ministero della Giustizia a pagare i detenuti-lavoratori

Il sottosegretario padovano Andrea Ostellari l'ha ribadito anche ieri: «Scontata la pena, la gran parte degli ex condannati ricomincia a delinquere. Mentre il 98% di chi ha trascorso la detenzione imparando un mestiere, senza guardare il soffitto, esce dai circuiti criminali e smette di compiere reati. I numeri parlano chiaro: più lavoro nei penitenziari significa meno criminalità nelle nostre città».

Per questo il ministero della Giustizia sta studiando un piano di incentivi per le aziende che assumono i detenuti

Ma intanto proprio il dicastero ora guidato dal ministro trevigiano Carlo Nordio è stato condannato a pagare quanto dovuto ai carcerati che hanno prestato servizio per l'amministrazione penitenziaria: con due sentenze, infatti, il Tar del Veneto ha accolto i ricorsi di dieci reclusi al Due Palazzi.


L'ATTIVITÀ
Si tratta di cittadini sia italiani che stranieri, i quali stanno scontando (o hanno finito di scontare) condanne di diversa entità per i reati più vari; qualcuno è anche ergastolano. Tutti hanno in comune il fatto di aver svolto attività lavorativa, durante il periodo di detenzione, a favore della struttura carceraria.

Fra loro ci sono addetti alle pulizie, alla distribuzione dei pasti e al magazzino, ma pure elettricisti, manutentori e giardinieri

«A prevedere il loro impiego sono le norme dell'ordinamento penitenziario, in applicazione del principio costituzionale che sancisce la finalità rieducativa della pena», spiega l'avvocata Marta Capuzzo, che assiste i ricorrenti insieme al collega Giancarlo Moro. «Da anni si è però venuta a verificare una situazione kafkiana aggiunge la legale per cui i detenuti-lavoratori vengono pagati con importi che stanno al di sotto dei minimi salariali previsti dalla normativa, che già sono inferiori di due terzi rispetto ai contratti collettivi di riferimento. La colpa non è certo della direzione del carcere di Padova, ma del mancato aggiornamento delle tariffe da parte dell'apposita commissione ministeriale, che le ha "congelate" dal 1993 al 2018.

Le cause sono state avviate per chi ha lavorato in quegli anni e non ha ricevuto la giusta retribuzione. Per alcuni si parla di differenze pari anche a 15.000 euro».


I GIUDICI
Le loro richieste sono state accolte dal giudice del lavoro e i verdetti sono già passati in giudicato, in quanto non sono stati impugnati. Ciononostante il ministero della Giustizia non ha mai corrisposto le somme dovute, malgrado sia trascorso il termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo. Anche i solleciti sono caduto nel vuoto. A quel punto sono scattati i ricorsi collettivi di ottemperanza davanti al Tribunale amministrativo regionale, dove peraltro l'Avvocatura dello Stato non si è nemmeno costituita in giudizio. Alla fine i magistrati della seconda sezione (presidente Grazia Flaim, consigliere estensore Marco Rinaldi e primo referendarioElena Garbari) hanno stabilito che «deve essere sancito l'obbligo, per la P.A. (Pubblica Amministrazione, ndr.), di dare piena e integrale esecuzione alle sentenze». Ora il dicastero dovrà provvedere entro 60 giorni dalla notifica delle motivazioni, depositate giovedì scorso. Come spesso succede in questi casi, se gli uffici ministeriali non dovessero agire, verrebbe nominato un commissario ad acta per esercitare il potere sostitutivo. Non certo un bell'esempio di rispetto della legge, da parte della macchina della Giustizia.

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